La Traviata inaugura la nuova stagione del LAC

L’appuntamento con l’opera di Verdi che vede la regia di Poschner e Rifici è dal 2 all’8 settembre
/ 22.08.2022
di Enrico Parola

«Parigi è sempre una buona idea» sentenziava fascinosa Audrey Hepburn; lo pensò anche Verdi, centosettant’anni fa, suggestionato da La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio, poi tradotto in libretto d’opera dal poeta di fiducia Francesco Maria Piave. Lo pensano anche Markus Poschner e Carmelo Rifici, direttore musicale dell’Orchestra della Svizzera Italiana il primo e regista il secondo, che firmano La traviata in scena al LAC dal 2 all’8 settembre. «La volevo fare da sempre, è un’opera centrale di tutto l’Ottocento; credo che realizzarla ora a Lugano sia l’intreccio perfetto di circostanze, per la qualità raggiunta dalle maestranze – coro, orchestra, personale del teatro – e per il prestigio internazionale che il LAC ha rapidamente conquistato.

Ideale è anche il cast: Airam Hernández sarà Alfredo, dopo aver maturato il personaggio con un direttore geniale e innovativo quale è Teodor Currentzis; Violetta sarà interpretata da Myrtò Papatanasiu, un soprano applaudito a Vienna e Berlino, l’ho ammirata personalmente come Tosca e in Bach ed Händel: una voce perfetta per il barocco e quindi, credo, per l’idea di Violetta che abbiamo maturato con Carmelo». Perché se Parigi è sempre una buona idea, c’è molto da riflettere su chi sia veramente l’eroina verdiana e conseguentemente su quale sia la Parigi vista con gli occhi del maestro di Busseto. «Credo che tutti gli amanti dell’opera conoscano la storia di Violetta, della tisi che la porterà alla morte, del suo amore per Alfredo, della sua vita travagliata di cortigiana parigina» introduce Rifici. «Ed è proprio da questa parola, cortigiana, che bisogna partire per riflettere e indirizzare la propria visione. La tradizione ha affermato come linee dominanti un’ambientazione postribolare, perché una cortigiana altro non è che una donna che mercifica il proprio corpo, e un realismo ottocentesco: «Io son libera» dice in una famosissima aria, e al primo ascolto sembra davvero un inno alla libertà come ribellione alle costrizioni del tempo – usi, costumi, moralismi, ruoli e convenzioni sociali. Invece, osservando bene, è la storia di una povera sventurata che vive un grande sogno di emancipazione, di possibilità, cioè di non essere predefinita dalle convenzioni di quella società perbenista. È la storia di una ragazza che arriva al dono di sé per amore, vivendo questo amore quasi come «un’utopia metafisica».

Ed è proprio «sulla traccia di questa utopia» che Rifici delinea la sua visione di Traviata: «Ciò che forse nell’originale di Dumas è meno accentuato, ma che in Verdi emerge e vibra evidente, è la malinconia: Verdi ci mostra il sacrificio di una donna che si dà tutta per un uomo che invece la sacrifica e la denigra». Rifici ritrova gli elementi che nella storia suffragano questa visione; già all’inizio, ad esempio, «lei è l’amante di un barone; poi arriva Alfredo e lei, già malata, davanti alla dichiarazione del giovane ribatte che non può accettarla perché è una cortigiana. A questo punto è proprio la musica di Verdi che la spinge a darsi tutta a un concetto all’inizio musicalmente e poi integralmente altissimo dell’amore, con la meravigliosa aria sul finale dell’atto primo, dove lei confessa tutto il suo afflato utopistico e mostra una concezione quasi distruttiva dell’amore». Concezione che si avvera nell’atto secondo: «Violetta sta vivendo con Alfredo una favola idilliaca, in campagna; presto però scopriamo che dietro alla lieta apparenza c’è una realtà ben più prosastica e meno rosea: per permettere questa vita a sé e ad Alfredo sta vendendo tutto quel che ha, ma Alfredo se ne accorge. Ed è a questo punto che arriva Giorgio Germont, il padre di Alfredo, per chiederle di fare passo indietro, per l’onore e le prospettive sociali del figlio; e lei, con una purezza commovente, decide di sacrificare sé, la sua salute e il suo denaro perché una ragazza che non conosce possa convolare a giuste nozze con Alfredo.

La musica di Verdi ci racconta tutto ciò con una malinconia incredibile». Per esprimere questa malinconia non sarà più la «Traviata degli specchi» che avrebbe dovuto andare in scena due anni fa, poi cancellata dalla pandemia: «Il Covid ha cambiato tutto e non potevamo far finta che non fosse successo nulla. È cambiata la visione delle cose e anche di Traviata, che ambientiamo in un Ottocento sognato, leggero, privo degli orpelli e di quel realismo volgare, postribolare, figlio di una visione cruda di Violetta, cui siamo stati abituati. Ho chiesto allo scenografo Guido Buganza e alla costumista Margherita Baldoni di creare un’atmosfera evanescente, malinconica ma non sinistra, di evocare un ambiente crepuscolare, sentimentale, umanamente fragile; la camera da letto finale si confonde con la cameretta d’infanzia, Violetta qui è una bimba che muore nel suo letto di infanzia. In scena oltre a una bambina ci sarà un anziano: potrebbe essere Verdi stesso che guarda con commozione la creatura che ha destinato a un sacrificio perenne».