La trappola di James Blunt

Intrappolato tra due mondi: il nuovo lavoro del redivivo cantautore lo mostra come un artista in bilico, diviso tra il pop più commerciale e l’intimismo romantico che lo ha reso una star
/ 24.04.2017
di Benedicta Froelich

Sebbene sia ormai trascorso più di un decennio dai suoi esordi discografici, le teenager di un tempo non potranno non rammentare la piccola «invasione mediatica» che accompagnò il successo mondiale dell’iper-romantico James Blunt, ex militare britannico divenuto d’un tratto popstar di punta grazie a struggenti brani in bilico tra la lovesong più sdolcinata – esemplificata dal celeberrimo You’re Beautiful, tormentone radiofonico che dodici anni fa conquistò le classifiche di tutto il mondo – e il malinconico intimismo esistenzialista di pezzi come Same Mistake e Carry You Home.

Purtroppo, con il passare degli anni, Blunt non è più riuscito a replicare il successo riscosso con questo genere di canzoni, e la sua carriera ha finito per entrare in una fase, per così dire, di stasi – al punto che, com’è norma nel mondo della musica pop, il divo di un tempo funge oggi da opening act per l’assai più giovane connazionale Ed Sheeran, più che mai sulla cresta dell’onda grazie al recente lavoro Divide.

Non si tratta quindi di un caso se questo nuovo The Afterlove, ultima fatica discografica di Blunt, vede l’artista avvalersi proprio della collaborazione di Sheeran, con il quale, in effetti, condivide più di una predilezione stilistica; e l’influenza del popolare collega appare evidente fin dal primo ascolto del CD, sebbene l’impostazione musicale dell’album non faccia che sottolineare quanto sia difficile, per un cantante pop odierno, riuscire davvero a reinventarsi in modo convincente – specie quando si hanno già alle spalle diversi anni di carriera e molteplici pubblicazioni.

Ciò si fa evidente soprattutto nel singolo di lancio Love Me Better, esempio di scialbo ibrido pop in bilico tra l’elettronica da discomusic e l’easy listening più radiofonico e commerciale; del resto, The Afterlove vede James tentare con una certa insistenza la strada dell’elettropop più sfacciatamente mainstream, come dimostrato da pezzi quali l’insipido e banale Lose My Number e il più intrigante (ma comunque piuttosto risaputo) California. Va decisamente meglio con il secondo singolo estratto dall’album – Bartender, un pezzo non certo memorabile ma irresistibilmente orecchiabile, un po’ come il discreto riempitivo Paradise.

Tuttavia, il disco riserva più di una sorpresa, in quanto, ancora una volta, Blunt dimostra come il suo reale talento risieda nella composizione di ballate intimiste e dolenti: uno dei brani migliori della tracklist è infatti l’intenso interludio romantico Time of Our Lives, frutto di una collaborazione tra James, il già citato Ed Sheeran e Ryan Tedder, frontman degli statunitensi One Republic e coproduttore di The Afterlove. Forse per questo, il CD contiene diverse composizioni di genere romantico e suadente – come la lievemente melensa Make Me Better, composta con l’aiuto di Sheeran, e l’agrodolce Don’t Give Me Those Eyes – le quali confermano una volta di più il talento di James per le melodie di matrice soft rock. Nonostante ciò, però, i brani di maggiore impatto all’interno dell’album risultano piuttosto essere quelli di carattere autobiografico: si veda la «bonus track» 2005, lacerante lento acustico in cui Blunt lamenta, con parecchio spirito di autocommiserazione, l’ostilità popolare a cui l’immenso successo del già citato You’re Beautiful (assurto al rango di hit mondiale appunto nel 2005) lo ha esposto, nonché la natura effimera di tale fama.

E non è tutto: James dona ai suoi fan un ulteriore esempio di esplicita e dolente confessione privata con un’altra traccia che, nonostante l’innegabile valore artistico, è reperibile soltanto nella versione deluxe del CD, ovvero Courtney’s Song – la quale, a dispetto del titolo, costituisce una dolorosa lettera di addio all’amica Carrie Fisher (la compianta interprete della Principessa Leila di Guerre Stellari), presso la quale Blunt aveva trovato ospitalità a Los Angeles nel 2003, durante l’incisione di Back to Bedlam, il suo acclamato album d’esordio. E come spesso accade con gli album di matrice pop-rock, dispiace che un pezzo di tale forza espressiva sia stato relegato all’edizione più rara e costosa dell’album al fine di privilegiare brani francamente meno indimenticabili.

Il che ci porta a quello che è, in definitiva, il problema principale da cui The Afterlove è affetto: l’impossibilità, per James, di coniugare generi tra loro stridenti quali le ambiziose tendenze cantautorali evidenti nelle ballate più soft e l’irritante sound esageratamente commerciale dei brani di lancio del CD. E poiché tale dicotomia è enfatizzata dalla collaborazione con Sheeran e Tedder – i quali, seppur coautori di alcune delle tracce più gradevoli del disco, vivono a loro volta un simile conflitto stilistico nelle rispettive carriere – ci si può solo augurare che Blunt riesca a ignorare la tentazione di inseguire il famigerato «successo a tutti i costi» per mantenere la propria onestà artistica e continuare a concentrarsi su quella che è, da sempre, la vena compositiva a lui più congeniale.