Bibliografia

Erminio Ferrari, Ma liberaci dal male, Tararà Edizioni, Verbania, 2022.


La traccia di Ermi

A due anni dalla scomparsa ritroviamo la penna e lo spirito di Erminio Ferrari in una raccolta di racconti inediti
/ 10.10.2022
di Mario Casella

Lo vedeva dalla finestra, il Pizzo di Claro. Finché un giorno una nuova palazzina lo nascose al suo sguardo. Nel solco lasciato dai suoi passi a metà febbraio durante una salita alla vetta che domina Bellinzona, si nascondono alcune delle perle disseminate nella neve e sulla carta da Erminio Ferrari. Il bel volumetto postumo Ma liberaci dal male (Tararà Edizioni), riporta alla luce alcuni di quei preziosi intrecci di parole che erano l’impronta inconfondibile di Ermi, come lo chiamavano gli amici, colleghi e famigliari.

Nella neve del Pizzo di Claro, in uno dei nove racconti, l’autore sfodera la sua invidiabile capacità di rendere epiche anche azioni semplici come quella del cammino: «c’era della poesia, volendo, nell’economia di gesti di quell’avanzare silenzioso, come si dosano nei versi le parole per dire della vita che passa. Passo su passo, alternandoci a battere una traccia, che il franare su di sé di una neve inconsistente presto cancellava».

L’editore Giovanni Margaroli, e la figlia Marta hanno salvato gli ultimi racconti inediti di Erminio, morto il 14 ottobre di due anni fa per una caduta nella sua Valgrande, per riunirli in questo libretto. Come si legge nella nota iniziale, sono pagine spuntate dai suoi cassetti «dove atterravano, nei ritagli di tempo tra il lavoro, lo studio, le mucche, il soccorso alpino e la montagna, le sue storie di vita e di speranza».

L’eclettismo dell’autore emerge con prepotenza. Quasi ci si perde nel seguire le sue molteplici attività. Lo intuisce anche lui mentre scala la parete del Fletschorn che domina il passo del Sempione: «mi scopro ogni volta portatore di un leggero handicap, che mi fa inevitabilmente inciampare nelle storie che mi hanno preceduto: nomi volti parole letture, talvolta la Storia. Mi ci perdo, nelle storie». Ermi anche nella sua scrittura percorreva una traccia senza virgole, quasi volesse evitare di inciamparci.

Da queste nuove pagine spuntano vette di «casa nostra» come il Pizzo di Claro, la Cima dell’Uomo e il Sassariente, ma anche nomi più alti(sonanti) quali il Cervino, il Fletschorn e il Monte Bianco. Sul tetto delle Alpi è ambientato il primo racconto che dà anche il titolo al libro: Ma liberaci dal male. Seduti sul terrazzino del bivacco Ghiglione con le gambe a penzoloni nel vuoto, Erminio e l’amico guida alpina Alberto Paleari, tanto bravo nell’armeggiare la piccozza quanto nel mettere in fila le parole nei suoi libri, parlano di letteratura. Lì a 3700 metri, seduti su quel trampolino letterario, citano pagine incise nelle loro memorie. Tra queste spicca il capolavoro di Luigi Meneghello intitolato appunto Libera nos a malo.

Il racconto di Ferrari si sfilaccia toccando corde diverse fino a perdersi tra l’assassinio di Kennedy e il giorno del giudizio con il riferimento al finale del cristiano Padre Nostro: «liberaci dal male». E se potesse rimetter mano oggi a quel racconto, Ermi aggiungerebbe all’intreccio anche il filone del cambiamento climatico. Proprio alla fine dello scorso agosto, a poco meno di un chilometro da quel terrazzino, un altro piccolo bivacco è sparito nel vuoto. La scatola metallica del rifugio Alberico-Borgna al Col de la Fourche, si è disintegrato sul ghiacciaio sottostante dopo un volo di 300 metri. Il pilastro di granito su cui poggiava si è polverizzato perché stracotto dalla torrida estate. Entrambi i bivacchi erano la porta d’accesso alla vetta del Monte Bianco dal versante della Brenva. A quella cima su cui, quando Ermi mise piede la prima volta, arrivò «pieno di magone» e chiedendosi «se ci sarà mai una montagna alla quale chiedere di liberare nos a malo».

Come chiunque che calchi da tempo le nevi e i ghiacci d’alta quota, anche lui camminava con quell’angoscia che ti prende la gola quando vedi la pelle disidratata della dorsale alpina. Ermi lo aveva già raccontato anni fa nel suo magnifico Cielo di stelle, libro in cui ha narrato una delle più drammatiche tragedie del lavoro tra le montagne ticinesi. Diciassette furono i morti nelle gallerie per gli impianti idroelettrici della Valle Bedretto e della Val Bavona. Era il 1966 e quel dramma ebbe come scenografia lo sfondo del ghiacciaio del Gries. Potenti le parole dello scrittore: «Se un tempo parlare di “nevi eterne” era appannaggio di una letteratura colma di retorica, oggi è una povera illusione: se ne vanno come ce ne andiamo noi, persino più in fretta».

Queste parole, sospese tra la crudezza di uno storico fatto di cronaca e una profonda riflessione sul senso della vita, sintetizzano il pensiero di fondo di Ferrari.

Lo ha confermato con emozione l’amico e collega di redazione Stefano Guerra nel suo intervento alla recente presentazione del libro al Monte Verità. Il caporedattore della «Regione», ha proiettato l’immagine dell’agenda che ogni giorno troneggiava sulla scrivania di Ermi. Al centro della copertina rossa, un’etichetta bianca con una citazione di Italo Calvino: «Non si può stare fuori dalla storia, non si può rifiutarci di fare tutto quello che possiamo per dare un’impronta ragionevole e umana al mondo, quanto più esso ci si configura davanti come insensato e feroce». Una sorta di mantra etico-letterario che probabilmente Ermi leggeva ogni giorno mentre accendeva il computer.

Tutto questo per non perdere la traccia. Anche quando la tempesta di informazioni, vere e false, ti travolge. Per questo Erminio sapeva che ogni tanto nella bufera mediatica occorre gridare, anche controvento, per far capire agli altri da che parte bisogna andare per porsi in salvo.

Lo aveva fatto in modo magistrale in un editoriale scritto nel 2010 e riletto da Stefano Guerra al Monte Verità. Prendendo spunto da una preoccupante serie di fatti sanguinosi avvenuti in Italia, Erminio propose la sua riflessione sulla delicata scelta di parole e modi con cui il giornalista si deve confrontare nel raccontare i più orribili fatti di cronaca: «È una ferocia che si esercita per mestiere, e lo si dice come scusante. Feroce due volte: a infierire con microfoni e telecamere, potete esserne certi, sono proletari della disinformazione di massa, gente con contratti – se ne hanno uno – da precari, malpagati. Che asciugherebbero le lacrime di una madre se appena potessero avere l’esclusiva sulla morte del figlio. Gli sfruttati non vanno per il sottile. Sopra di loro marcia un sistema con paghe e contratti di altro tenore, che decide, impagina, titola, commenta. Un sistema che dispensa cronaca nera come oppiaceo a buon mercato. Brioche al popolo che non aveva il pane…».

Il titolo di quell’editoriale era Dacci oggi il nostro orco quotidiano. Una sorta di ironica eco, in anticipo sul grido che prorompe da questo libro postumo e intitolato Ma liberaci dal male. Ferrari camminava costantemente su quella cresta che divide il mondo del bene da quello del male. Passo dopo passo ci aveva raccontato la fatica di rimanere in quella traccia.

Da due anni siamo rimasti soli, ognuno in cammino sul proprio crinale, tanto simile a quello del Pizzo di Claro. Tentiamo di arrangiarci. Cerchiamo di seguire la traccia segnata da Ermi. Con nel cuore quello stesso magone che lui evocava nel racconto della sua prima salita sul Monte Bianco. Soli sì, ma con la fortuna di avere tra le mani, come una bussola, un libro che forse può aiutarci a capire molte cose.