Bibliografia

Massimo Bacigalupo, Un mondo di poesia, Mondadori, Milano, 2022

Ezra Pound nel suo studio a Parigi nel 1924 (Keystone)

La tempesta dei Cantos di Ezra Pound

Nel cinquantesimo anniversario dalla morte, Massimo Bacigalupo dedica un nuovo studio al grande poeta
/ 31.10.2022
di Daniele Bernardi

Esattamente cinquant’anni fa, nella sua amata Venezia, dove era approdato poco più che ventenne e diede alle stampe la sua prima raccolta, il 1. novembre moriva il poeta, traduttore e saggista americano Ezra Pound (1885-1972).

Mezzo secolo ci separa dalla scomparsa di questo gigante della letteratura (nella foto ritratto nel suo studio di Parigi nel 1924), la cui fascinazione per la cultura europea, e in particolare per quella italiana, impresse nella sua opera, così come nel suo travagliato percorso esistenziale, un marchio destinato ad avere più facce: da un lato la grande poesia di dichiarata ispirazione dantesca – il suo lungo poema, i Cantos, è a suo modo una riscrittura della Commedia – dall’altro l’innamoramento per il fascismo e la figura di Benito Mussolini, per cui pagò un prezzo altissimo: imputato di tradimento in conseguenza di una serie di discorsi da lui tenuti per Radio Roma, nel ’45 fu consegnato dai partigiani alle truppe statunitensi, che lo internarono in un campo di correzione militare («Disciplinary Training Center») in prossimità di Pisa; trascorsi quattro mesi di detenzione, fu rimpatriato e detenuto per dodici anni nel penitenziario psichiatrico di Washington.

Ma c’è dell’altro. Ezra Pound è stato il punto nevralgico in cui si sono concentrate le esperienze più radicali e significative della letteratura del Novecento: amico di lunga data di W. C. Williams e Marianne Moore, a lui dobbiamo la redazione definitiva di La terra desolata di T.S. Eliot e la pubblicazione dell’Ulisse di Joyce. Fu lui a creare le condizioni, attraverso Yeats, per l’assegnazione del premio Nobel a Tagore e a insegnare a Hemingway come si scrive. Insomma, che piaccia o no, Ezra Pound fu una figura chiave.

Cogliamo l’occasione di questa ricorrenza per parlarne con chi si è molto dedicato all’opera del poeta: Massimo Bacigalupo, professore emerito dell’Università di Genova, il quale, dopo aver curato i Canti postumi per Mondadori e ritradotto i primi XXX Cantos per Guanda, dà alle stampe con Ares edizioni Ezra Pound, un mondo in poesia.

Professor Bacigalupo, su Pound è stato scritto molto, ma in Italia non sono stati tantissimi a occuparsene. Certo, c’è la figlia Mary de Rachewiltz, che ha tradotto integralmente i Cantos, così come vi erano i compianti Piero Sanavio e Caterina Ricciardi. Luca Gallesi ha di recente curato una notevole raccolta di interviste, È inutile che io parli (De Piante Editore). Purtroppo però, quando si tira in ballo Pound, sovente si finisce per parlare più delle violente realtà di estrema destra che se ne accaparrano il nome che dell’opera. Lei vanta una lunga frequentazione con la sua produzione: com’è avvenuto questo incontro?
I Pound erano amici di famiglia a Rapallo. Mio padre Giuseppe giocava con lui a tennis negli anni venti (vedi il suo libro Ieri a Rapallo) e poi divenne medico del padre del poeta e infine di Pound quando tornò in Italia dopo la parentesi americana. Conobbi Pound a quindici anni, nel 1962. Non parlava quasi mai, ma la sua presenza stimolava a leggere le sue opere, i Saggi letterari, che erano usciti da Garzanti, e i XXX Cantos, editi da Lerici-Scheiwiller. E attraverso lui si arrivava subito a Eliot e Joyce, più tardi a Hemingway, Cummings… Una buona educazione per un anglofilo (mia madre era statunitense, mi disse che una volta a Rapallo aveva tenuto una conferenza letteraria alla presenza di Ezra). Poi verrà la tesi sull’ultimo Pound, che nessuno aveva mai studiato, e le prime traduzioni, fra cui lo splendido Omaggio a Sesto Properzio che dal 1984 viene ristampato (Edizioni SE) e ci mostra il Pound scanzonato erotico e pacifista del 1919.

Proprio in questi giorni è uscito il suo nuovo contributo poundiano, ce ne rivela l’essenza?
Pongo l’accento su Pound poeta, spesso ignorato, ma anche sul personaggio. Un viaggio nel suo mondo favoloso, in cui non mancano certo delle ombre, ma che comporta scoperte, scherzi, visioni a non finire. Il libro offre anche una cronologia dettagliata per orientarsi in tanto vorticare. Ci sono capitoli che seguono pressoché tutto l’arco della sua produzione, letture dei Cantos come sorta di dispense della  «Ezruversità» (rimase sempre il professore mancato), doppi ritratti in cui E.P. appare accanto ai sodali Yeats, Ford, Marinetti, Pea, anche uno sguardo al Pound di Edoardo Sanguineti, e al suo rapporto con le arti figurative. Per non dire dei suoi amori giovanili e tardivi, che sono poi il motore di fondo della sua vis poetica: «Quando giacqui nel focolare di Circe, udii un canto così…». «La luce ha penetrato la caverna…». «Il mio bikini vale la tua chiatta, disse Leucotea…». Ascoltiamo, stupiamo e ci divertiamo con l’estroso rapsodo.

In una lettera del 1910 alla madre, Pound scrisse: «L’arte delle lettere finirà entro il duemila… io sopravvivrò come curiosità». I Cantos sono un’opera apparentemente respingente, impervia, che richiede al lettore dedizione e volontà. Ma cosa resta di questo grande lavoro? Lo si può davvero liquidare come una «curiosità» paragonabile a certi esperimenti avanguardistici che, estrapolati dal proprio contesto, oggi ci parlano poco? O siamo di fronte a una forma che ancora avvince e riguarda le esigenze del nostro tempo?
Pound crea spesso una musica potente, come nei cosiddetti «canti della fertilità» degli anni Trenta, o nei passi corali dei Canti pisani: «O lince, custodisci il mio vigneto / quando il grappolo si gonfia sotto la foglia… / Questa Dea nacque dalla schiuma…». Difficile sottrarsi alla suggestione di questi canti così precisi e avvertiti, calati poi in un contesto moderno e banale (un campo di prigionia). Qualcuno ha detto che il poeta è uno che passa la vita nei temporali e tutto sta nell’essere colpito qualche volta dal fulmine. I Cantos sono appunto un soggiorno nella tempesta, col quaderno di appunti a portata di mano. E il fulmine non manca di colpire, più volte. Quanto basta perché Pound resti fra i poeti del Novecento. A parte la sua funzione indispensabile di stimolatore di ingegni e  «levatrice» di capolavori.

Il caso Pound permette di affrontare un tema importante, quello della difficoltà, per l’individuo, di stare dentro alla storia. Pound prese un abbaglio, ma allo stesso tempo nel suo sbaglio c’è qualcosa di interessante, una sorta di intuizione che va al di là dei fatti specifici. Questo ci avvicina alle problematiche di questi anni di pandemia e guerra, dove sovente abbiamo visto gli intellettuali prendere posizioni molto criticate. Cosa può dirci al riguardo?
Pound era un ostinato bastian contrario privo quasi del tutto del senso della realtà (come annotò qualcuno della segreteria di Palazzo Venezia in calce a una delle lettere che Pound scriveva a Mussolini). Per un attimo, nell’Italia del Ventennio, pensò che il progetto dell’intellettuale al potere accanto al principe si potesse realizzare. Ma subiva anche il fascino romantico del perdente, contro cui le forze coalizzate dell’oscurantismo si alleano. Si fece uno dei suoi primi eroi del condottiero maledetto Sigismondo Malatesta, scomunicato da Pio II, che voleva costruire a Rimini un tempio per sé e la sua amante Isotta. L’incompiuto Tempio Malatestiano è un modello dei Cantos, egualmente sincretico e bislacco. Poi decise di prendere le difese di un altro romagnolo, Mussolini, che aveva affermato che i Cantos erano «divertenti», capendone subito il senso vero, e il cui sogno (come lo vedeva Pound) sarà egualmente infranto. E allora il poeta può cantare, sempre sicuro di avere ragione, proprio perché sconfitto: «Ma questo ditelo al Possum Eliot: / uno schianto, non un gemito, / uno schianto e non un gemito / per edificare la Città di Dioce, / le cui terrazze hanno il colore delle stelle…». Eliot avrà deglutito due volte quando da Pisa o Washington gli arrivò questo incipit dei favolosi e terribili Canti pisani. I racconti e i fili che li collegano sono infiniti.