A partire dall’Ottocento la Svizzera, con la sua natura sublime e bizzarra, il modo di vita ancestrale delle popolazioni di montagna, ha affascinato numerosi compositori, scrittori, pittori e intellettuali. Mathieu Schneider, docente all’Università di Strasburgo, nel suo recente studio L’utopie suisse dans la musique romantique, offre un inedito spaccato sulle rappresentazioni della Svizzera ad opera dei compositori e narra l’influenza che gli elementi musicali svizzeri hanno avuto sull’evoluzione del linguaggio nel XIX secolo. La lista di opere, balletti, Lieder, sinfonie, musica per pianoforte, musica da camera, musiche di scena, ouverture composte tra il 1780 e il 1910 che abbiano un legame con la Confederazione elvetica comprende più di 220 lavori.
Fino a Jean-Jacques Rousseau le rappresentazioni della Svizzera erano rimaste lontane, mitiche e legate quasi esclusivamente alle arie musicali dei pastori svizzeri (ranz des vaches). Con il filosofo ginevrino le Alpi continuano ad essere un punto focale, ma non sono più solo l’oggetto di spedizioni scientifiche, né luoghi di idillio campestre. Rousseau nella sua opera Julie ou la Nouvelle Héloïse inventa la nozione moderna di «paesaggio», che viene ora a trovarsi direttamente legato agli stati d’animo del narratore. Il ranz de vaches viene visto in senso psicologico ed elevato a mito, uno dei pilastri della sua teoria della nuova musica.
La Svizzera a metà del Settecento rappresentava la prima tappa del Grand Tour, il viaggio di educazione che i giovani di buona famiglia intraprendevano per scoprire ciò che rimaneva del mondo antico in Grecia e in Italia. Limitandoci ai compositori più noti, Mendelssohn fece quattro viaggi in Svizzera; Brahms fu regolarmente invitato da istituzioni svizzere per assistere a esecuzioni della sua musica e contribuì al dinamismo della vita musicale svizzera. Liszt vi si recò una decina di volte e fu in contatto con alcuni musicisti locali come i pianisti Pierre-Etienne Wolff e Hermann Cohen a Ginevra, l’editore Ernest Knop a Basilea, il compositore Ferdinand Huber. Di Wagner si contano due soggiorni principali: a Zurigo dal 1849 al 1859 e a Tribschen, sul Lago dei Quattro cantoni, dal 1866 al 1872.
Wagner trovò a Zurigo una città in pieno sviluppo economico, la Svizzera gli fornì un contesto propizio e uno slancio decisivo per edificare quella che poi chiamò «arte dell’avvenire». Liszt e Wagner nelle loro opere «svizzere» cercarono con successo di dar forma a una nuova arte: l’Album d’un voyageur fu una tappa significativa nell’evoluzione di Liszt come lo fu per Wagner L’Anello del Nibelungo. Concretamente la Svizzera, secondo Schneider, è presente a due livelli nell’opera di Wagner: sotto forma di ranz de vaches nell’Alte Weise all’inizio di Tristano e in modo più diffuso nella sua teoria del dramma musicale, come archetipo di un modo di rappresentare la natura in musica.
Per quanto concerne la musica vocale, sono due le opere liriche che occorre citare: Eliza, ou le Voyage aux glaciers du Mont Saint-Bernard (1794) di Luigi Cherubini e Guillaume Tell (1829) di Gioacchino Rossini. Ma la Svizzera ha la sua parola da dire anche nel campo del Lied. Schubert ha al riguardo un atteggiamento ambivalente: il suo Schweizerlied (D 559), su poesia di Goethe, non contiene alcun riferimento alla Svizzera; tuttavia in Der Hirt auf dem Felsen, uno degli ultimi Lieder, fa un interessante uso del colore svizzero grazie alla presenza del clarinetto. Altri seguirono il suo esempio, come Gustav Mahler in Zu Strassburg auf der Schanz (1889), tratto dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn. Uno dei primi esempi dell’utilizzo di uno jodel svizzero nella musica classica si trova in Die Schweizerfamilie (1809) di Joseph Weigl; Gaetano Donizetti lo impiega in Betly, ossia La capanna svizzera (1836), e a differenza di Weigl lo espone in una linea vocale molto più ampia. Anche all’inizio del terzo atto della Walkyrie (1876) di Wagner, nel motivo vocale degli Hojotoho, si osserva uno jodel.
Sul versante della musica strumentale, il repertorio di composizioni legate alla Svizzera è più limitato. La Symphonie phantastique (1829) di Berlioz, in particolare grazie al ranz de vaches del terzo movimento, è una delle rare opere sinfoniche dell’Ottocento che abbiano un riferimento chiaro ed esplicito al nostro Paese. In quest’ottica si può annoverare anche il canto del pastore della Sinfonia Pastorale di Beethoven, come esempio di locus amenus. Mendelssohn intitola La Suisse il terzo movimento della sua giovanile Nona Sinfonia per orchestra d’archi. Il tema del corno delle Alpi nell’Adagio della Prima sinfonia di Brahms riprende il soggetto del locus amenus di Beethoven. Liszt compose 13 pezzi per pianoforte che prendono lo spunto da temi popolari svizzeri.
Il viaggio di Liszt in Svizzera è tuttavia immaginario: secondo Schneider è paragonabile ai viaggi anch’essi in gran parte fittizi che avevano compiuto gli scrittori e i loro eroi del XVIII secolo come Rousseau, Senancourt, Schiller, Byron: «È la traduzione di questa utopia svizzera che avevano inventato i romantici, nient’altro che il romanticismo stesso». La Svizzera descritta dai viaggiatori nei loro racconti non era difatti la Svizzera che vivevano nel loro quotidiano i contadini dell’alta valle della Reuss e dell’Aar. I paesaggi svizzeri nel XIX secolo erano in pratica diventati un’utopia che Rousseau, Schiller e Senancourt avevano rappresentato nelle loro opere.
Il lavoro di Schneider prende in considerazione le musiche scritte fino al 1910. Sarebbe interessante poter disporre dei dati circa il periodo dal 1910 ai nostri giorni. Magari per suggerire che oggi ai compositori interessa anche… la Borsa valori, come dimostra la composizione di Francesco Hoch The magic Ring (2002).
Bibliografia
Mathieu Schneider, L’utopie suisse dans la musique romantique, Paris, Hermann, 2016, p. 386.