Un progetto ambizioso, importante a livello finanziario e originale dal punto di vista tematico. Un lavoro che scava in un settore molto apprezzato a livello internazionale tanto da caratterizzare il nostro Paese: l’aiuto umanitario. Unità di crisi – la nuova serie tv di Jacob Berger prodotta dalla SSR – punta molto in alto. L’esercizio, diciamolo subito, è riuscito solo a metà. Ma arriviamoci per gradi.
L’idea iniziale, e cioè quella di costruire una serie su questo tema, come anticipato, è davvero interessante perché mette in luce un aspetto della Confederazione che sovente è sottovalutato, relativizzato o quanto meno dato per scontato. Il grande lavoro realizzato da organizzazioni come la Croce Rossa, un operato encomiabile, dev’essere valorizzato al meglio. Su questo primo aspetto bisogna dire che la fiction è davvero ben fatta, anche grazie a esperti del settore come Pierre Hazan, Jean François Berger et Jean Leclerc dai quali è partito il progetto. La ricostruzione del lavoro svolto a Ginevra e di quello sul campo (l’ambientazione è tra lo Yemen e l’Arabia Saudita) è convincente e le dinamiche tra i vari attori sul territorio sicuramente verosimile e realistica. Qualche problema in più viene evidenziato dallo sviluppo della serie – che conta sei puntate – e quindi a livello di sceneggiatura, che resta uno dei talloni d’Achille del cinema nazionale.
Unità di crisi segue tre storie che si intrecciano e trovano sempre più collegamenti man mano che la serie avanza. La prima è quella di Suzanne Fontana (Isabelle Caillat brava e convincente nella parte, anche se forse troppo monocorde), una professoressa dell’Uni di Friborgo a cui viene offerta la direzione dell’HCIH (Alto Commissariato Internazionale Umanitario). La seconda vicenda è quella di Guillaume Kessel (interpretato dall’esperto e solido André Dussollier), il capo ad interim dell’HCIH che deve trovare un sostituto al precedente responsabile morto sul campo. La terza storia coinvolge, invece, Adi Lipp (Jean-François Balmer) responsabile dell’organismo che controlla il calcio mondiale, il FFIO, una sorta di FIFA. Un personaggio, che all’inizio sembra separato dagli altri due ma che avrà un ruolo sempre più centrale.
Tre filoni che si intersecano in modo naturale e con diversi e ben architettati colpi di scena. Ma, come sempre è nei dettagli che si nasconde il diavolo. In quei particolari che sembrano di poco conto ma che alla fine danno fastidio. Mi riferisco, ad esempio, a un ritmo narrativo un po’ ingessato e ad alcuni buchi di sceneggiatura che ti fanno dire: peccato. Per quanto riguarda il ritmo, anche in questo caso, il cinema nazionale dovrebbe fare un passo in avanti e sciogliere, in modo più naturalistico, dialoghi e scene. La troppa costruzione sa di artefatto; la parola a un attore e poi la replica del secondo attore (senza quindi sovrapposizioni di voci e azioni) con un classico campo-controcampo è un modo scolastico di girare. Può funzionare solo se supportato da una regia precisa, da una padronanza di inquadrature e da dialoghi efficaci.
Difetti presenti anche nella scrittura. Un esempio su tutti. La lotta per la direzione all’HCIH che coinvolge Suzanne e un’altra donna si risolve con un’ellissi. Lecito, per carità. Ma se costruisci narrativamente la scena mostrando le lotte intestine nel comitato dell’organismo e i vari giochi di potere che stanno dietro quella nomina, lo spettatore si aspetta una degna conclusione che qui è negata. Così come sparisce quasi completamente dalla serie l’antagonista, che all’inizio ha un ruolo importante. Alla fine, sappiamo solo che ha vinto Suzanne.
Qualche piccolo fastidio lo danno anche le immagini «telefonate», quelle costruite a tavolino e che fanno sentire l’odore della pubblicità istituzionale: gli studi della SSR, Palazzo federale e la sede dell’HCIH ritornano più volte.
Detto di qualche piccola mancanza, è altrettanto corretto elencare altri pregi. Oltre all’idea di partenza, alla convincente ricostruzione di quel mondo e al buon lavoro degli attori (indovinati anche i coprotagonisti), segnalo lo sviluppo interessante della sottotrama thriller che coinvolge Kessel. Sicuramente la storia più riuscita e con un’evoluzione davvero interessante. Anche la descrizione del mondo arabo, in particolare del rapporto tra padre e figli, è una tematica disegnata bene.
In definitiva Unità di crisi è una serie svizzera godibile e interessante, anche solo per il coraggio che ha dimostrato nel mettere in piedi uno sforzo produttivo importante, partendo da un’idea vincente e ben sviluppata.
In onda sulla RSI il 13, il 20 e il 27 dicembre. Visibile anche sulla nuova piattaforma online PlaySuisse.