Bibliografia
Emilie Pine, Appunti per me stessa, Rizzoli, 2021, pp. 205
Flannery O’ Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mestiere di scrivere, Minimum Fax, (1957), pp. 153


La strenua ricerca della verità

Le sei sezioni che compongono Appunti per me stessa invitano a una full immersion nella vita dell’autrice. E delle donne
/ 11.10.2021
di Laura Marzi

«Mi arrabbio sempre con quelli che sostengono che scrivere dei romanzi è una fuga dalla realtà, perché al contrario è un’immersione nella realtà, che comporta una grande sofferenza»: la scrittrice Flannery O’ Connor, a cui appartiene questa considerazione sul rapporto spesso frainteso fra realtà e letteratura, sarebbe stata davvero fiera leggendo il romanzo d’esordio di Emilie Pine, Appunti per me stessa, che si è aggiudicato l’Irish Book Award, il maggior riconoscimento letterario irlandese.

La realtà in cui si immerge Pine è quella della sua esistenza: il testo è diviso in 6 sezioni, che affrontano altrettante vicende e temi della sua vita, fino all’ultimo capitolo intitolato Cose non in programma, in cui Pine descrive la sua condizione lavorativa di docente universitaria. Affronta quali siano le conseguenze del sessismo per la sua carriera e il suo stesso modo di comportarsi, non eludendo, quindi, come uno sguardo avvelenato sul femminile possa appartenere anche alle donne stesse. Racconta di come l’Università, a seguito della crisi economica, sia diventata un luogo in cui il valore dei docenti viene valutato in base a quanti fondi privati riescono ad accaparrarsi, non certo a quanto sono bravi a insegnare e a formare le nuove generazioni.

Questo approccio spiazzante, questa ricerca della verità appunto, che guida l’autrice a ogni riga del testo, costituisce per la lettrice e il lettore una garanzia di arricchimento a ogni riga. Emilie Pine ha scritto uno di quei libri che non si vorrebbero mai finire, in cui sottolineare frasi cruciali quasi a ogni pagina. Il segreto sta nel fatto che pur raccontandoci la sua vita, quella della sua famiglia, il suo lavoro, la sua coppia, con una precisione chirurgica, il racconto risuona anche in chi legge.

Per esempio, si parla molto di come il ciclo mestruale sia un vero tabù ancora oggi, ma è anche vero che è difficilissimo affrontarlo o scriverne in un racconto che non sia solo rivendicativo, seppur la rivendicazione è un primo passaggio necessario, come insegnava Simone de Beauvoir. Nel capitolo Appunti sul sangue e altri crimini, Pine riesce a descrivere la difficoltà e il dolore fisico ed emotivo, come conseguenze inevitabili del menarca, ma va oltre, perché sanguinare è una condizione esistenziale significativa: «tutti dicono che il segreto per scrivere bene sia versare sangue sulla pagina. Immagino lo scrittore maschio che ha coniato questa frase […] A che genere di sangue si riferiva? Quello che sgorga dalla vena di un braccio? O di una gamba? […] Non credo che abbia mai preso in considerazione il sangue uterino. Io di quello ne ho tantissimo, sangue mestruale, sangue gravidico, sangue abortivo, sangue del non-più-incinta, sangue perimenopausale».

Attraversando la rivendicazione, ma riuscendo a superarla, Pine racconta di come questo rapporto represso con un aspetto cruciale della vita di ogni ragazza, poi donna infine anziana, abbia come conseguenza una relazione insana col proprio corpo. Sia perché, come sappiamo, ci trattiamo come se fossimo delle cose da rendere appetibili: per forza snelle, giovani, magre. Sia perché a causa di questo modo di guardarci e osservare le altre, non impariamo a prenderci cura di noi stesse, a proteggerci e tanto meno a cercare il piacere.

Il testo di Pine, però, non è un saggio sul femminismo, è un insieme di storie. Per questo, si apre con un capitolo dedicato al suo rapporto col padre o meglio a cosa significhi volere bene a una persona affetta da una dipendenza: in questo caso l’alcolismo. Il rapporto con la sua famiglia attraversa le varie sezioni del romanzo, ovviamente quella dedicata all’infanzia, dopo la separazione dei suoi genitori, quando Emilie e sua sorella vivevano con la madre, che si occupava di loro, lavorando tutto il giorno. Qualcosa di me è invece il racconto della sua adolescenza dolorosa, o meglio delle conseguenze di essersi sentita una bambina dimenticata e anche in questo capitolo sono importanti le figure della madre e della sorella.

A colpire soprattutto è la postura di Pine, il tentativo costante di raccontare la verità, di trovarla insieme alle lettrici e ai lettori proprio attraverso la scrittura, che diventa per lei lo strumento per forzare delle porte serrate, da troppo tempo. Questo riappropriarsi della propria storia rappresenta invece per chi legge il rinnovarsi di un dono, un susseguirsi di tesori.