Dove e quando

Roads not Taken, Deutsches Historisches Museum, Berlino. Fino al 24 novembre 2024, aperto tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00. www.dhm.de

 

 


«La storia europea dipende da noi»

Intervista allo studioso Dan Diner, docente di storia moderna a Gerusalemme e a Lipsia, e curatore di una mostra in corso al Deutsches Historisches Museum di Berlino
/ 03.04.2023
di Stefano Vastano

«Dal punto di vista antropologico siamo molto conservatori. Il passato non ci interessa, ma siamo maledettamente legati al presente perché il futuro invece ci spaventa».

Con questo quadro del rapporto umano con la Storia inizia il nostro dialogo con Dan Diner, storico raffinato per anni docente di storia moderna all’università di Gerusalemme e di Lipsia. E il quadro che Diner ci da delle idee più diffuse sulla Storia non è dei più entusiasmanti. «Ma è un profondo bisogno umano immaginare i momenti della storia come dei fatti in fila, con una linearità teleologica, che seguono cioè una meta precisa». Purtroppo, o per fortuna, la Storia non si cura dei nostri pii desideri e si muove in modo a volte bizzarro, spezzato o persino casuale. «Cerchiamo di proteggerci con mille assicurazioni sul futuro, insiste Diner, ma al centro della storia c’è tanta contingenza, e più che di “fatti” è fatta di eventi probabili che sarebbero anche potuti andare diversamente».

Per questo la mostra che Dan Diner ha curato per il Deutsches Historisches Museum di Berlino, e che sarà aperta sino al novembre 2024, si intitola Roads not Taken. Sottotitolo della mostra a dir poco originale: Ossia, come tutto sarebbe potuto svolgersi anche altrimenti. Basta entrare nella prima stazione della mostra, dedicata ai famosi eventi dell’autunno 1989, ossia all’improvviso crollo del Muro di Berlino, per accorgersene. Da un lato infatti Diner ha predisposto documenti e foto – i pacifici cortei di protesta a Lipsia o Berlino; una fascia di un manifestante con la scritta Keine Gewalt, nessuna violenza. Ma nella parte opposta della prima stazione ecco le immagini orribili di Tienanmen, i panzer schierati dal regime di Pechino per schiacciare la rivolta degli studenti. «I Bonzi della ex DDR, spiega Diner, avevano già distribuito le munizioni all’esercito per reprimere i cortei di protesta». È mancato poco insomma perché anche quella «svolta» tedesca nel meraviglioso 1989 si tramutasse in tragedia. «Con la mostra, continua Diner, voglio spiazzare il senso della storia del visitatore, e mostrare che la storia non si muove in linea retta e secondo finalità prefissate». Dagli eventi dell’89 infatti scendiamo alle proteste del Sessantotto e dell’era Brandt; e poi in quattordici tappe all’indietro giù sino ai moti rivoluzionari (falliti) del 1848. Ogni «passaggio» della mostra è articolato in due momenti: il primo, con foto e documenti che ricordano l’accaduto, di fronte quel che per l’appunto sarebbe ancora potuto accadere se…

I due punti più intensi della storia tedesca del Ventesimo secolo sono concentrati da Diner – di cui Bompiani ha di recente pubblicato Tutta un’altra storia, la Seconda guerra mondiale vista dalla Palestina ebraica – al centro dell’esposizione. E sono l’8 maggio 1945, con la firma della capitolazione incondizionata dei tedeschi il 20 luglio 1944, data dell’attentato ad Hitler organizzato, ma purtroppo fallito, dal colonello von Stauffenberg. «Nei piani degli americani, ricorda Diner, era già previsto di sganciare la prima bomba atomica sulla zona industriale di Ludwigshafen, al centro della Germania. Per questo sino ad oggi i tedeschi temono tanto il nucleare». Per loro e nostra fortuna, anche grazie al passaggio degli Alleati sul ponte di Remagen, nel maggio del 1945 si è giunti alla capitolazione, e non all’inferno nucleare in Germania. «Nella mostra non si vedono, spiega Diner, molte immagini dell’Olocausto».

Su una grande parete però leggiamo, a lettere cubitali: Zu Spät Too Late. Anche se l’attentato di Stauffenberg contro Hitler fosse in effetti riuscito, nell’estate del 1944 era davvero «troppo tardi» per fermare la tragedia già perpetrata della Shoah. Ma è un altro evento della mostra di sicuro il più nero e sciagurato dei 150 anni di storia tedesca, ed evidenzia tutta l’imprevedibilità della storia: quello del 30 gennaio, funesto giorno in cui Hitler sale al potere a Berlino. «Sino a tutto il 1929, ricorda Diner, Hitler era solo una curiosa attrazione bavarese, di cui nessuno in Germania si interessava». Poi però, come rivediamo nella mostra, si è arrivati nell’ottobre del 29 al crac della Borsa di New York. Riguardiamo così le foto dell’esercito di sei milioni di disoccupati che riempiono le strade della Germania. Le valuta tedesca e i risparmi del ceto medio bruciati di colpo. E il partitello d’estrema destra ed antisemita di Hitler che inizia a decollare alle elezioni. «Ma sino al dicembre del 1932, puntualizza Diner, il partito nazista era dilaniato da crisi interne e finanziarie, ed Hitler minacciò di suicidarsi con un colpo di pistola». La storia, come sappiamo, è purtroppo andata diversamente. Nella mostra leggiamo quel che Göbbels annotò la sera in cui Hitler salì al potere: «ein Wunder», un miracolo.

Cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se il generale von Hammerstein, al comando dell’esercito, avesse schierato in quei giorni la sua guarnigione di Potsdam contro le «camicie brune» dei nazisti salite di colpo al potere? Ma al di là di questa opzione mancata è sicuro che nel dopoguerra, a partire dall’era Adenauer, i tedeschi e la Germania – almeno quella dell’Ovest – si sono trasformati in tutta un’altra nazione e in un popolo democratico. Un altro incredibile «miracolo» politico, insieme a quello economico, avvenuto nel Paese più grande al centro d’Europa. «La disfatta del nazismo e i decenni della Guerra fredda, riassume Diner, hanno forgiato la Repubblica federale trasformandola in un laboratorio di democrazia parlamentare, ed hanno educato i tedeschi al pragmatismo americano». Roads not Taken ci ricorda dunque che la storia non è solo un incubo o un’accumulazione di catastrofi, come se l’immaginava Walter Benjamin nel suo Angelus Novus. Ma una scena teatrale in cui gli uomini, volendo, possono intervenire a mutarne le trame, i protagonisti e l’intera coreografia. «Al centro della contingenza della storia, ricorda Diner, c’è la nostra libertà, e la responsabilità a cui la storia ci chiama per decidere del nostro futuro». Ed è questo il vero, profondo insegnamento della mostra berlinese anche in riferimento all’immane catastrofe che si sta verificando sotto i nostri occhi in Ucraina. «Siamo noi, conclude Diner, a decidere se nel Ventunesimo secolo la storia europea riprecipiti nel più gretto razzismo e nazionalismo, o no».