Dove e quando
Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst. Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana. 9 aprile – 3 dicembre 2017
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La sottile linea tra vero e falso

L’eclettico e controverso artista inglese Damien Hirst a Venezia propone una mostra maestosa e a tratti molto kitsch – da vedere assolutamente
/ 03.07.2017
di Ada Cattaneo

Damien Hirst è un artista a cui piace fare parlare di sé. Spesso ciò avviene più per lo scalpore mediatico generato dalle sue iniziative che per il risultato della sua ricerca. Fin dai suoi esordi si è distinto per la capacità di affrontare in maniera non convenzionale il sistema dell’arte, organizzando la mostra che avrebbe definito i cosiddetti YBAs – Young British Artists – di cui egli è oggi il rappresentante più noto. Il gruppo si sarebbe poi affermato nel corso degli anni Novanta, anche grazie all’intervento del pubblicitario, collezionista e gallerista Charles Saatchi, capace di determinarne un successo di mercato senza precedenti. Hirst, nel frattempo, si fece notare per l’uso di animali veri nelle sue opere, come nel caso de L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo, poi venduto per 8 milioni di dollari, che impiegava uno squalo tigre conservato in formaldeide. Ancora, nel 2008 Hirst eluse il consueto sistema del commercio d’arte, basato sulle gallerie, rivolgendosi direttamente alla casa d’aste Sotheby’s, presso la quale organizzò un’intera mostra di proprie opere e la successiva vendita all’incanto, nell’operazione «Beautiful Inside My Head Forever».

Anche la sua nuova esposizione visitabile fino al 3 dicembre a Venezia sembra in qualche modo costruita per essere sensazionale: in primo luogo, per il dispendio di mezzi che ha comportato e, come si vedrà più avanti, anche per la sorprendente struttura narrativa che ad essa sottende.

L’impresa è stata resa possibile grazie ai legami che l’artista ha con François Pinault, fondatore di una delle più importanti catene internazionali del lusso, proprietario della casa d’aste Christie’s, oltre che collezionista d’arte contemporanea e, appunto, delle opere di Hirst. Dal 2007 la Fondazione Pinault ha in concessione gli spazi di Punta della Dogana, che costituiscono oggi un unico polo espositivo insieme a quelli di Palazzo Grassi, acquisito nel 2005: per la prima volta in quest’occasione i due luoghi sono stati affidati a uno stesso artista, anche perché il progetto si è esteso oltre ogni previsione nel corso di dieci anni, dalla sua ideazione ad oggi.

Come accennato, la visita alla mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable («Tesori dal Relitto dell’Incredibile») si basa su di un racconto, su una cornice narrativa immaginata (o meglio, adattata) da Hirst. La «storia» racconta che fra il I e II secolo d.C., nella regione di Antiochia visse un uomo di nome Cif Amotan: egli era un liberto, uno schiavo affrancato, che collezionò opere d’arte da tutte le terre note, suscitando l’invidia di nobiluomini e principi. Ma la sua nave, l’Apistos («L’incredibile»), sulla quale erano raccolti tutti i suoi tesori, fece naufragio nel Mar Egeo e tutto il suo carico andò smarrito. Fino a qui, tutto corrisponde a una leggenda riportata da Pausania e che grande fascinazione suscitò già nel Rinascimento, tanto da fare favoleggiare che alcune delle opere più note di quella stagione artistica furono ispirate proprio dal ritrovamento di oggetti rimasti per secoli sul fondo dei mari. Ma qui parte il seguito della vicenda, immaginato dall’artista inglese: nel 2008 il relitto sarebbe stato ritrovato e recuperato a opera di un gruppo di archeologi subacquei. L’esito della campagna sottomarina sarebbe ciò che oggi possiamo vedere esposto a Venezia.

Questa ambiguità fra leggenda storicizzata e invenzione contemporanea è di certo l’aspetto più affascinante di tutta l’operazione e ha piena riuscita in quei momenti della mostra in cui anche l’allestimento concorre a «ingannare» lo spettatore, con vetrine e supporti da museo archeologico, dove un’opera di ispirazione fantascientifica si confonde fra vasi e anfore incrostati di coralli e conchiglie. Aggiunge verosimiglianza il contesto, considerato che Palazzo Grassi ha ospitato fra gli anni Ottanta e i primi Duemila numerose mostre archeologiche di successo. Inoltre, i saggi in catalogo, fra cui quelli di storici dell’arte antica, di esperti di archeologia subacquea, concorrono ad amplificare l’idea che questo recupero sia in definitiva un’ipotesi plausibile. La curatrice, Elena Geuna, spiega: «L’effetto sperato sarà stato raggiunto se qualcuno sospetta che, fra le opere esposte (tutte di nuova realizzazione) sia nascosto anche qualche originale antico. Lo scopo è questo: lasciarsi affascinare. Dimenticare la linea fra finzione e realtà». Si fa appello, come ricorda il direttore dei due spazi, Martin Bethenod, al principio della sospensione dell’incredulità, alla scelta cioè di credere a ciò che l’autore propone, a prescindere dalla sua rispondenza al vero, dimenticando per un attimo che ciò che ci viene narrato è del tutto inverosimile. Nelle opere di finzione, l’abilità dell’autore risiede proprio nel saper tenere il proprio lettore/spettatore/visitatore in bilico su questa linea, senza chiedere sforzi di immaginazione troppo estremi, ma al contempo sapendo proporre scenari sorprendenti. Nel caso di Venezia, l’operazione di Hirst riesce nella misura in cui esiste questo equilibrio fra archeologia e contemporaneità, fra scoperta e creazione. Ma in molte delle opere questa tensione non è sempre così presente. Ciò avviene soprattutto per le grandi sculture, come nel caso del colosso che occupa interamente l’atrio di Palazzo Grassi per tutti i quattro piani di altezza dell’edificio. Quando l’artificio che fa coincidere l’opera d’arte dissacrante con il reperto storico si interrompe, la mostra perde gran parte della sua capacità di affascinare, tanto che si finisce per girare di sala in sala per vedere fino a che punto Hirst è riuscito ad oltrepassare il limite del kitsch.

Ciò nonostante, l’esposizione merita di essere visitata, anche solo per sfidare la nostra incredulità, mentre scorrono sugli schermi le immagini del video che testimonia il recupero subacqueo delle opere (effettivamente avvenuto, a seguito del diligente seppellimento), fra cui non mancano gli omaggi alla cultura pop, con bronzi di Topolino e Barbie compresi.