La seconda volta della prima moglie

Il remake di Rebecca, capolavoro di Hitchcock, non soddisfa su tutta la linea
/ 02.11.2020
di Nicola Mazzi

Ottant’anni dopo l’uscita di uno dei film più importanti di Alfred Hitchcock (Rebecca – La prima moglie, che tra l’altro fu il primo girato negli USA dal maestro del thriller), Netflix propone una nuova versione della storia tratta dall’omonimo libro di Daphne du Maurier. Questa volta dietro alla macchina da presa c’è Ben Wheatley, autore che si destreggia bene tra le grandi produzioni (Tomb Raider il sequel) e Cannes (Killer in viaggio).

La struttura narrativa del nuovo film segue fedelmente quella del romanzo e dell’opera di Hitchcock e quindi il confronto è purtroppo (per il prodotto Netflix) inevitabile. Bisogna comunque dare atto alla piattaforma online di aver osato riproporre un classico e di aver cercato di renderlo fruibile agli spettatori del 2020. Un coraggio che sembra premiare a livello economico visto che Rebecca è nelle Top Ten dei film più visti. Ma, ovviamente, seppur importante, questo aspetto non basta a raggiungere i livelli dell’opera del 1940.

Questa, in breve, la trama. Siamo a Montecarlo e una giovane dama di compagnia di una ricca signora conosce l’aristocratico e vedovo Maxim de Winter. Tra i due nasce una storia d’amore che li condurrà presto al matrimonio. Vanno a vivere nella residenza inglese di Manderley, di proprietà della famiglia de Winter, dove la giovane sarà continuamente confrontata con il fantasma della prima moglie: Rebecca.

Il confronto tra le due versioni non regge per diverse ragioni. In primis, malgrado dialoghi ben scritti e attori nella parte (soprattutto Kristin Scott Thomas che interpreta la perfida governante Mrs. Danvers), manca la tensione narrativa del film del 1940: il tutto procede senza particolari sussulti né emozioni. In secondo luogo, la regia di Wheatley è più attenta alla bella fotografia che a costruire la psicologia dei personaggi e a svilupparla nel corso del film. L’autore preferisce il lavoro sull’immagine (i colori caldi nelle scene in Costa Azzurra e quelli freddi a Manderley) alla ricerca-inchiesta sulla misteriosa figura di Rebecca.

Infine, la versione 2020 – a cui va dato un altro merito e cioè quello di aver mantenuto il focus sul fantasma di Rebecca, presente in tutte le scene malgrado la sua morte – da un lato esplicita in modo troppo didascalico quello che in Hitchcock era solo suggerito, come ad esempio i rapporti extraconiugali di Rebecca col cugino. D’altro lato, accelera in modo grossolano la trasformazione che avviene nella seconda moglie: da giovane e insicura ragazza a donna forte e determinata.

In altre parole, Rebecca è un film piacevole, ma che non regge il confronto con l’opera per la quale Joan Fontaine fu nominata all’Oscar.