I Tenori, per riempire stadi e piazze a colpi di Turandot e O sole mio, dovevano essere in tre. David Garrett lo fa da solo; senza indulgere nel crossover, seppure anche su internet impazzino le sue cover dai Coldplay, ma portando col suo prezioso violino Stradivari Bach e Ciajkovskij a migliaia di fan adoranti. Scene mai viste ai concerti classici, con teenager e settantenni ad ondeggiare estasiate sui ritmi di Bruch o Beethoven, gli occhi calamitati dall’aitante tedesco che dal palco ammicca agitando i lunghi capelli schiariti, ma allo stesso tempo con le orecchie tese verso suoni per tante (ma anche tanti) di loro inauditi.
È la missione di Garrett, 37 anni compiuti giusto due settimane fa: prima ancora che vendere dischi e immagine (cosa che gli riesce benissimo), diffondere il sacro verbo della classica tra chi non conosce Mozart o Brahms. «Poi magari di bis faccio un brano dei Coldplay, come mi è capitato poco tempo fa a Torino» inizia a raccontare «Avevo suonato il Concerto di Ciajkovskij, c’erano tantissimi giovani in sala e ho voluto farli sentire ancor più a casa». Cambiando secolo e anche strumento: «Per la classica uso lo Stradivari, per i brani crossover un Guadagnini; niente violini elettronici, rendono il 5 per cento rispetto a quelli tradizionali: gli antichi liutai possedevano il segreto per far uscire dal legno tutti i colori, le sfumature e gli effetti che un orecchio umano può percepire».
Prima che un fenomeno mediatico Garrett è un virtuoso del violino, un musicista vero; la classica è impietosa, senza il talento si può far bella figura sulle copertine di un disco ma non in un concerto dal vivo, e se lui suona con le più grandi orchestre e i migliori direttori al mondo non può essere solo per la spinta dei discografici. Oggi inaugura Lugano Musica accompagnato da Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala nel Concerto di Ciajkovskij: «Assieme abbiamo suonato in piazza Duomo a Milano, davanti a 50mila persone, quello di Bruch, i due concerti che ho inciso con Zubin Mehta e la Israel Philharmonic» giusto per rimanere in tema di eccellenze mondiali. Così, al di là dell’inevitabile domanda a sfondo gossip sulle sue frequentazioni femminili, è interessante soprattutto scoprirne la storia. «La prima volta che sono uscito con una ragazza da solo avevo 17 anni, durante un campus musicale estivo in Israele; fidanzatine da college? In tutto forse tre. Poi mi è capitato varie volte di innamorarmi, ma la vita del concertista non aiuta chi vuole mettere su famiglia: sei sempre in giro per concerti, la fidanzata o la moglie possono seguirti ovunque, ma i bambini no, devono crescere in una scuola normale, mettere radici da qualche parte. Così mi capita di trascorrere le vacanze con mia mamma e basta: ad esempio un paio di anni fa a Natale, io e lei alle Maldive».
La normalità non ha mai fatto parte della sua vita, neppure quella familiare: «Ho iniziato a suonare a 4 anni perché lo faceva mio fratello maggiore e io volevo imitarlo in tutto: vestiti, giochi… violino». In breve tempo David divenne più bravo di Alex e soprattutto il padre iniziò a puntare tantissimo su di lui: «A cinque anni mi portava ogni week-end in Olanda per studiare, a sette ogni settimana un viaggio di sei ore fino a Lubecca per seguire un altro insegnante; non andavo a scuola ma veniva a casa un maestro privato. Mio padre mi costringeva a studiare per sei-sette ore al giorno, pretendeva tantissimo, se sbagliavo o non suonavo come lui si aspettava volavano insulti». Istruzione prussiana che però diede frutti precoci: a dieci anni il primo concerto con orchestra, ad Amburgo, a 13 anni fu diretto da Mehta e Abbado, tra i 14 e i 17 anni incise per la Deutsche Grammophon i Capricci di Paganini, i Concerti di Mozart e Ciajkovskij, le Sonate di Beethoven e Bach.
«Ma a 17 anni, con la scusa di andare a trovare mio fratello a New York, mi fermai là e divenni allievo di Perlman alla Juilliard School; per pagarmi studi e alloggio feci il modello per Armani: con i dischi e i concerti avevo guadagnato bene, ma papà aveva usato tutto per le lezioni private e per i viaggi di studio. Mio padre fece bene a trattarmi così? Se si guardano i risultati in termini di pura carriera sì, ha ottenuto quello che sperava; ma io ero convinto che mi odiasse, quante volte in camera da solo sono scoppiato a piangere; se mi guardo indietro ripenso a quegli anni come la via che mi ha portato dove sono ora, ma nulla potrà asciugare tutte le lacrime che bagnarono la mia adolescenza».