Kubilai Türkilmaz ha segnato un altro goal richiamando numeroso pubblico per Kubi, lo spettacolo firmato da Flavio Stroppini con Monica De Benedictis, in scena con successo per sei serate al Teatro Sociale che lo ha prodotto in collaborazione con LuganoInScena e Nucleo Meccanico. C’era la platea che rimpiangeva la squadra del Bellinzona dei bei tempi, ma anche quella di una città che l’ha accolto con diffidenza. Lui, «l’emigrante», «il turco», insomma un «diverso» che il calcio trasformerà in un eroe.
Se il libro di Flavio Stroppini, Kubi goal! (edizioni Casagrande), insegue una traiettoria narrativa semplice, discorsiva, la versione teatrale si muove su un piano diverso, ricordandoci una società che ancora oggi si confronta con il tema dell’integrazione. Sulla scena la silhouette di un bambino con la palla al piede attraversa l’immagine di lenzuola stese proiettate sul fondo: evocazione cinematografica di «una giornata particolare», speciale per Necla, la mamma di Kubi: simbolo di coraggio, dignità, di rivincita culturale e civile, per Kubi forza interiore per il riscatto sociale.
Lo spettacolo percorre questa dimensione dall’8 giugno 1996, giorno della partita inaugurale degli Europei di calcio a Wembley. La Svizzera gioca contro l’Inghilterra e pareggia grazie alla rete realizzata da Kubi su rigore. Quattro donne sono davanti al televisore in un appartamento delle Semine, il Bronx della Bellinzona di quegli anni: mamma Necla, Maddalena con la figlia Camilla e Luisa. Con dialoghi serrati, Kubi è uno spettacolo ben scritto e interpretato. A cominciare dall’efficace pacatezza di Amanda Sandrelli (Necla) con la simpatica e irruente ironia di Tatiana Winteler (Maddalena), i misurati giovanilismi di Silvia Pietta (Luisa) e Jasmin Mattei (Camilla) e la voce off di Daniele Ornatelli. Suggestive le musiche di Andrea Manzoni. Un plauso alla regia nell’affrontare senza compiacimenti una sorta di denuncia che accompagna la consacrazione del campione nella conquista di un sogno identitario all’ombra della domanda: «Sono stato accettato per quello che ho fatto o per quello che sono?»: replica al LAC il 1. febbraio.
Lungo il fiume della poesia
Certe sensazioni hanno il sapore di un buon vino, sorseggiato senza fretta. Una metafora bacchica per accostarci alle impressioni raccolte dopo i Dialoghi sulla creatività delle arti allo Spazio Officina di Chiasso, luogo ideale per eventi alternativi alla liturgia tradizionale. L’operazione artistica si colloca nella visione di Tiziana Arnaboldi, con la sua linea di programmazione al San Materno che mette in relazione le arti e la danza contemporanea. I Dialoghi sono un frutto dell’incontro fra due creazioni apparse separatamente e riunite in un unico evento: Il suono delle pietre e Motivo di una danza, diventate una sola performance coreografica e il segno della maturità artistica di Tiziana che per l’occasione raggiunge vette di grande intensità, un flusso di empatia che irrora i due emisferi cerebrali con un dialogo armonioso tra sensualità e concretezza. Dai versi di Fabio Pusterla letti con voce suadente, alla danza eterea di Pierre-Yves Diacon e Valentina Moar lungo l’argine di un fiume che ricerca il mare, alle fluide movenze di Claudia Rossi Valli. Il tutto avvolto da atmosfere sonore: le pietre di Beat Weyeneth dei suoi «litafoni» (lastre di granito disposte a tastiera e sfiorate dalle mani inumidite nell’acqua) e le suggestive soluzioni musicali elaborate da Mauro Casappa. L’immagine che accoglie lo spettatore è quella di una riva sinuosa di sassi: potrebbero appartenere al letto di un fiume, Breggia o Maggia poco importa. Sono il segno di un rito esoterico in una dimensione spazio-temporale che diventa teatro di poesia, di danza, di suoni.