Con questo aforisma si conclude un distico elegiaco del poeta greco Teognide (VI sec. a.C.), che per intero suona così: «Tengono in onore le ricchezze; e così l’uomo eccellente sposa donna di vili origini, / e il vile donna eccellente. La ricchezza mescola le stirpi» (vv. 189-190).
L’aristocratico Teognide guarda con disprezzo alla formazione di una ricchezza di origine mercantile («borghese», per modernizzare), che rendeva ormai superata l’originaria equazione tra agiatezza e nobiltà; rimpiange la decadenza economica (oltre che politica) di una parte almeno dei ceti aristocratici e assiste con preoccupato disappunto al fenomeno dei matrimoni «misti» tra aristocratici e nuovi ricchi.
Il timore di una contaminazione della stirpe sarà condiviso, circa un secolo più tardi, dal patriziato romano nel tentativo di opporsi all’approvazione del nuovo diritto matrimoniale proposto dal tribuno delle plebe Gaio Canuleio, che legittimava i matrimoni misti tra patrizi e plebei (lex Canuleia de maritandis ordinibus). Le motivazioni addotte dai consoli (patrizi) contro la proposta di legge, così come sono riferite da Livio (Dalla fondazione di Roma, IV, 2, 5-6), agitano lo spauracchio della «contaminazione del sangue» e della conseguente impossibilità, per i patrizi, di conservare la propria identità: «Un’ibrida mescolanza di genti [...], ecco la novità che Canuleio vorrebbe introdurre perché non rimanga niente di puro, niente d’incontaminato [...]. Quale altra efficacia infatti potrebbero avere i matrimoni misti, se non quella di diffondere gli accoppiamenti fra i plebei e i patrizi, quasi a guisa di bestie? Cosicché i figli ignorerebbero quale sia il loro sangue [...]; sarebbero per metà patrizi, per metà plebei, senza essere d’accordo neppure con se stessi» (trad. di C. Moreschini, con qualche adattamento).
La legge sui matrimoni misti fu infine approvata (445 a.C.), ma – anche se dopo la tragica esperienza nazifascista ogni discorso sulla purezza razziale suona ancora più sinistro – la storia dimostra che è difficile affrancarsi definitivamente da certe strutture mentali e dai pregiudizi radicati nelle abitudini sociali. Il Sudafrica solo recentemente e a prezzo di dure e diuturne lotte, e dell’eroismo di uomini come Nelson Mandela, si è liberato del vergognoso regime di apartheid; e negli Stati Uniti non sembrano del tutto vinte quelle diffidenze nei confronti dei colored che alcuni decenni orsono trovarono mirabile espressione nel film Indovina chi viene a cena.
Oggi si fa un gran parlare di società e di cittadinanza multietnica, ma proprio l’intensificarsi dell’afflusso di masse di migranti – fenomeno che pone certamente gravissimi problemi di accoglienza – sta dando vita, in una parte almeno dei paesi europei che sono la meta di tale movimento, a un rigurgito, se non di vero e proprio razzismo, certo di nazionalismo e, come oggi si dice, di «sovranismo». Forse aveva ragione Montale ad affermare che «la storia non è magistra / di niente che ci riguardi».