Se da grandi poteri derivano grandi responsabilità, è altrettanto vero che per ogni fenomeno cult ci si ritrova con un’armata di critici pronti a scoccare commenti avvelenati. Ma davvero possiamo cercare un difetto in un film su una bambola che, per marchio di fabbrica, non ne ha? Un film, tra l’altro, che nei giorni scorsi ha superato il miliardo di dollari di incasso, impresa che – come riporta il «New York Times» – prima di Greta Gerwig era riuscita soltanto a 28 registi maschi.
Greta Gerwig, con la sua Barbie, ha compiuto un’impresa straordinaria: trasformare un potenziale, lunghissimo spot Mattel in un’avventura che ci guida oltre la coltre rosa shocking di Barbieland. Ci ha spinto a mettere in discussione il ruolo tradizionale di Barbie nelle generazioni passate – uno stereotipo inarrivabile odiato dalle femministe – trasformandola in un’icona che esplora la complessità delle donne moderne in chiave satirica. Facile, no? Già dalla primissima scena, con la gigantesca Margot Robbie che fa il suo ingresso come il monolite di 2001: Odissea nello spazio, la regista ci dice che prima di Barbie, nulla esisteva e proclama «She is everything, he is just a Ken.»
Basta avvicinare lo sguardo per capire come la frivola rappresentazione del plastic world sia la maschera che nasconde il viaggio di due moderni Adamo ed Eva, strappati da un paradiso di marzapane e gettati nel mondo reale, tutt’altro che idilliaco. Il patriarcato non è solo un fantoccio per far applaudire il pubblico femminile; Greta Gerwig lo mette in scena in quella che sarebbe una geniale trama distopica, se non fosse la semplice realtà. Ken, eterna spalla di Barbie, si ritrova improvvisamente con tutto da guadagnare, solo per essere maschio. Dall’altra parte, Barbie ha solo da perdere per il fatto di essere una donna. Un messaggio trito e ritrito, ma che a quanto pare bisogna continuare a ribadire con forza se non lo si è afferrato. E se il miliardo di dollari di incassi al botteghino non bastasse a riconoscerlo come film dell’anno, la luccicosa chioma biondo platino di Barbie sta dominando non solo il mondo del cinema, ma anche quello della musica e della moda.
Il rosa è diventato il colore più potente di tutti, capace di aumentare le vendite del 110 percento di un modesto (ma solo per il design, non sicuramente per il prezzo) paio di Birkenstock, e rispolverare la celebre canzone Barbie Girl degli Aqua rilanciandola in cima alle classifiche in una versione di Nicki Minaj e Ice Spice. Le decine di collaborazioni con Barbie dimostrano che questa rivoluzione tinta di rosa sta contagiando anche i cuori degli amanti del classico total black. Zara, che fa del marketing il suo mantra quotidiano, non ci ha pensato due volte prima di salire sulla Chevrolet Corvette del successo e lanciare una linea dedicata. Dalla borsa di paglia, perfetta per l’estate, al pigiama in satin con l’iniziale di Barbie ricamata, possiamo considerarla la collaborazione del momento.
Tra vecchi cult risorge anche la Polaroid 600, la Barbie Throwback Instant Film Camera in un tripudio di colori anni 80. Tutto pur di portare un pezzetto di quel mondo ad alto tasso glicemico nella più amara realtà. Ovunque si guardi, lampeggia lo slogan «Pink is the new black». Già la collaborazione di Valentino con Pantone per la collezione PP Pink, il pink carpet della sfilata di Jacquemus in Provenza e la nostalgia della moda Y2K avevano sancito il ritorno dello stile pop delle protagoniste dei film anni 2000. Se vi sono venute in mente almeno due eroine dai set coordinati e amanti della moda, sorpresa, sorpresa…Siete sulla strada giusta! Non è un segreto che Barbie sia ispirato all’eccentrica avvocata Elle Woods in Legally Blonde, che rivendicava un altro colore – il diritto di essere bionda – e alla scanzonata fashionista Cher in Clueless. Un mix di icone che hanno segnato l’adolescenza di ragazze che, diventate ora donne, si trovano in prima fila nei loro look Barbiecore, mentre osservano Margot Robbie alle prese con la difficile decisione tra una sua vita spensierata in tacchi alti e una più consapevole in Birkenstock. Ma cos’è il Barbiecore? Per chi non avesse avuto accesso a qualsiasi social media, il Barbiecore è il risultato dell’incontro tra la moda anni 2000, conosciuta come Y2K, e l’immaginario sognante di Barbie che ha sedotto la Generazione Z. L’estetica rosa, piena di glitter, accessori a tratti kitsch e acconciature alla Britney Spears impazza dalle strade al red carpet ed è diventata il modo per riappropriarsi della propria femminilità.
Con il quite luxury e il minimalismo che cercano di imporsi, il Barbiecore si alza fiero a sventolare l’insegna dell’eccesso e della finzione. È sfacciato, è camp (termine che designa uno «stile di espressione personale o creativa assurdamente esagerata che spesso fonde elementi di alta cultura con quella popolare») e abbraccia l’atmosfera spensierata di chi non si prende troppo sul serio. E sì, questo trend sconfigge a mani basse tutti gli altri, perché è nei momenti complicati che le persone vogliono staccare la spina vestendosi come uno Stabilo Boss. La stessa costumista Jacqueline Durran, premio Oscar per i Migliori costumi, all’inizio non aveva intuito il potere rivoluzionario del look di Barbie. Ma, insieme ad una lista infinita di celebrità, sullo schermo c’è una storia fatta di costumi che mette a nudo quale sia il vero motivo per cui Barbie ci tiene inchiodati alla poltrona: il desiderio di Gerwig di mettere in scena quel magico momento in cui le ragazze imparano ad essere donne. Da stucchevole bambola con gli occhiali dalle lenti rosa, troviamo sul finale una donna vera in un impensabile abito giallo, omaggio – si specula – alle Suffragette del Kansas. Un simbolo della volontà di non essere più un freddo involucro di plastica, ma una persona libera nel suo paio di Birkenstock rosa. Perché Barbie può cercare di ignorare il suo senso estetico, ma solo fino a un certo punto.
E mentre girano i titoli di coda del film – nel catartico momento in cui ci rendiamo conto di aver ormai raggiunto l’apice del Barbiecore e che dopo una tale ascesa non può che esserci che una rapida caduta – ci chiediamo che fine faranno tutti quei vestiti e oggetti rosa shocking per i quali ci siamo precipitati ad aprire il portafoglio. Forse finiranno su Marketplace in saldo e il rosa potrà virare in una nuova sfumatura ma il messaggio di Barbie sarà un lascito per le future generazioni e per quelle donne che si sono vestite di rosa non in segno di una frivola debolezza ma di una ribellione pop. E per chi è andato in escandescenze per un film troppo patinato: ricordatevi che il rosa è solo un colore, non può farvi del male!