Innumerevoli sono i modi con cui coniugare il concetto di fotografia, arte nobile pronta altresì a mettersi a disposizione di altre discipline. La storia, innanzitutto, quale «fedele testimone del tempo». Talvolta però anche della letteratura: l’intreccio tra fotografia, storia e belle lettere è quanto propone il volume Paesaggi della Resistenza nei romanzi di Calvino, Fenoglio e Meneghello, apparso a cura di Publinova Edizioni Negri. Ne sono autori Enzo Laforgia, storico appassionato di letteratura e in particolare della biografia di scrittori (ha già dedicato parecchie ricerche a Curzio Malaparte); e il fotografo varesino Carlo Meazza.
Un omaggio al Partigiano Johnny e a chi scelse di battersi per la libertà inerpicandosi sui sentieri dei nidi di ragno dove talvolta capitava d’incrociare piccoli maestri come Antonio Giuriolo, trucidato dai soldati tedeschi dopo aver guidato una formazione di partigiani reclutati tra i suoi studenti vicentini (la vicenda è narrata nel film di Daniele Lucchetti, 1997, interpretato da due allora giovani attori come Stefano Accorsi e Marco Paolini). Laforgia analizza i tre romanzi con attenzione da entomologo, ricordando anche le polemiche che seguirono la loro pubblicazione (lontani dalla retorica e oltremodo realistici, non potevano piacere all’ideologia imperante all’epoca), offrendoci una documentatissima disamina di quanto scrissero e annotarono critici, giornalisti, politici ed ex partigiani. In questo contesto spiccano i nomi di Cesare Pavese («La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone»), Dante Isella, Maria Corti e tra gli altri Norberto Bobbio.
Dopo l’8 settembre 1943, il ventenne Italo Calvino salì sulle Alpi liguri; Beppe Fenoglio dalla sua Alba si nascose nelle Langhe piemontesi e Luigi Menegello fece altrettanto sull’altopiano di Asiago («Lassù, per la prima volta in vita nostra, ci siamo sentiti veramente liberi e quel paesaggio s’è associato per sempre alla nostra idea di libertà»). È in questi luoghi che Carlo Meazza è tornato, a 70 anni dagli accadimenti, cercando di trasmetterci cosa volesse dire «andare in montagna».
Il suo obiettivo la prende alla larga, con inquadrature apertissime per ritrarre villaggi abbarbicati sulle montagne come Realdo (bella foto in copertina) e poi scende – proprio come fece Johnny – per avvicinarsi ai campi coltivati, agli uliveti e ai vigneti, ponendo infine il suo zoom tra i fili d’erba d’un prato e allora è «facile» immaginare la paura e l’angoscia di chi sui quei prati cercava di sfuggire a retate e fucilazioni sommarie. Non c’è una sola figura umana nei suoi scatti (tutti rigorosamente in bianco e nero), scelta molto significativa. Il ricordo degli eroi – questo ci sembra l’intento ultimo del libro – non si può certo catturare con un click. Protagonista resta il paesaggio, dal quale Meazza, proprio come il partigiano Johnny, esclude «i segni e gli indizî degli uomini».