Uno degli aspetti più memorabili e impressionanti della casa-museo di Vincenzo Vela a Ligornetto è dato senza dubbio (al di là del luogo stesso, suggestivo e struggente, delicato ed elegante) dall’imponenza dei gessi esposti. La monumentalità di molte sculture è destinata a rimanere lungamente impressa nella visitatrice o nel visitatore. Ora però, grazie alla videoinstallazione del regista Adriano Kestenholz, quelle stesse statue che da molti decenni seguono con occhio attento chi varca le soglie del museo, si vestono d’aria, dimenticano cioè il proprio peso specifico per librarsi in un aere indistinto e indefinito, ma denso di quei colori e di quelle note che siamo soliti associare al «mondo fuori».
Sulle note di una composizione di Andreas Pflüger (1957, compositore, regista e drammaturgo tedesco) i protagonisti del museo sembrano risvegliarsi dalle maglie con cui il tempo inesorabilmente riveste le cose e i ricordi, per trasformarsi in piattaforme di proiezione. Oltre alle luci, sulle loro figure precise e imponenti, si posano così elementi della natura, come foglie o cieli, musicisti e strumenti dell’orchestra diretta da Alessandro Calcagnile, o riprese video degli originali delle stesse statue, dando così vita a una sorta di inedito gioco di rimandi.
Il canto struggente della soprano Laura Catrani conferisce al silenzio delle statue anche una voce, che accompagnata ai colori cangianti, e ai continui cambiamenti scenografici proiettati su scorci anche inediti del museo, riesce nel miracolo voluto da Kestenholz stesso (che per il progetto ha collaborato con RSI e Aleph film): (ri)dare vita a una materia che proprio per sua natura non ce l’ha. Il risultato è a tratti straniante, sempre poetico, e permette a chi ha il tempo e la voglia di vedere nella rifrazione di luci, suoni e ombre, di scorgere un palpito vitale in quelle forme immobili. Guardando a un Napoleone sfatto e stanco, (Gli ultimi momenti di Napoleone I, 1866), si ha così quasi l’impressione di intravvederne un ironico e contenuto sorriso, mentre la Ninfa delle sorgenti (1858) sembra pronta a ritornare da un momento all’altro alle proprie origini, là dove il colore predominante non è il bianco accecante del gesso, ma il verde della natura. Un bagno d’arte che richiede solo voglia di bello e di paesaggi che si fanno immediatamente «dell’anima».