Sergio Emery, Ferita nel giallo, 1991, acrilico su tela (Collezione privata
© Stefano Spinelli)


La pittura come esplorazione

A Mendrisio l’opera tarda dell’artista ticinese Sergio Emery
/ 24.05.2021
di Alessia Brughera

Che il percorso di Sergio Emery sia stato piuttosto inconsueto lo dimostrano le tante suggestioni che lo hanno ispirato lungo tutto il suo arco durato più di mezzo secolo così come il suo andamento poco lineare, caratterizzato, tra l’altro, da inaspettate interruzioni che hanno portato l’artista ticinese ad abbandonare, seppur provvisoriamente, l’attività pittorica.

Eppure ciò che fin dagli esordi contraddistingue il lavoro di Emery è l’addentrarsi nelle trame delle esperienze e dei linguaggi a lui contemporanei rimanendo sempre ben ancorato a una progettualità coerente e a una sensibilità indipendente, capaci di mantenerlo in sintonia con il proprio tempo e insieme di orientarlo verso una ricerca del tutto personale.

L’opera del pittore procede così per cicli tematici che si sviluppano l’uno dopo l’altro, o uno accanto all’altro, quali tappe di un cammino logico e serrato in cui vengono indagate le potenzialità espressive del gesto e del colore. Ed è interessante che questa esplorazione sia sempre avvenuta in uno stato che Emery stesso ha più volte descritto come di «tensione continua» fra lui e la sua creazione, una condizione al tempo stesso «privilegiata e logorante» che lo ha spinto a mettersi costantemente in discussione nel raggiungimento dei propri obiettivi.

Nato a Chiasso nel 1928, Emery inizia la sua formazione prima alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, i cui insegnamenti gli appaiono però fin da subito un po’ troppo rigidi e razionali, e successivamente all’Accademia Cimabue di Milano. Dopo un preambolo influenzato dallo stile di maestri quali Carrà e Sironi e dalla frequentazione a Parigi, nel 1949, del neocubista Édouard Pignon, l’artista si allontana dalla pittura per circa una decina di anni dedicandosi al design moderno.

Torna al pennello verso la metà degli anni Sessanta, avvicinandosi inizialmente alla corrente informale, da cui mutua l’energia del gesto e la matericità del colore, poi (siamo già nel decennio seguente) all’arte concettuale, con opere che ammanta di chiare istanze etico-ecologiche. Proprio la riflessione sul fragile rapporto tra uomo e natura, tema declinato dall’artista in forme e soluzioni differenti, diviene il filo che da lì in poi percorre la sua pittura, acquisendo via via una connotazione sempre più esistenzialistica.

Quando nel 1982 inizia quella che si può definire la nuova stagione della sua attività, Emery è l’unico artista ticinese della sua generazione ad aprirsi in maniera particolarmente ricettiva alle tendenze del periodo, come il movimento tedesco dei Junge Wilde o l’equivalente italiano della Transavanguardia, entrambi volti a contrastare la supremazia del concettuale attraverso una pittura espressionista dalle tinte accese.

Sospeso tra figurazione e astrazione, tra rigore e caos, il lavoro dei suoi ultimi venti anni (l’artista muore a Gentilino nel 2003) si profila come un insieme compatto di opere costruito in maniera metodica e ragionata, in cui l’incalzante avvicendarsi di temi e di motivi formali si svolge all’insegna della sperimentazione continua.

Si focalizza proprio sull’ultima prolifica stagione pittorica di Emery l’esposizione allestita al Museo d’Arte di Mendrisio, un’importante rassegna che arriva a distanza di quasi venticinque anni dalla grande retrospettiva organizzata alla Pinacoteca comunale di Casa Rusca a Locarno e che contribuisce a fornire un’interpretazione aggiornata della produzione tarda del pittore ticinese.

Osservando le opere raccolte in mostra si può ravvisare come, pur nella diversità del soggetto e del taglio dell’immagine, i cicli che prendono vita dai primi anni Ottanta siano accomunati dall’incisività del segno, dal dinamismo e da una tavolozza cromatica in cui il nero la fa da padrone. Ad aiutare il visitatore nella lettura del lavoro dell’artista è l’accurato raffronto tra dipinto e disegno: strettissimo, difatti, è il rapporto tra queste due tecniche nell’opera di Emery, che proprio all’immediatezza dello schizzo affida lo sviluppo dei singoli motivi, la ricerca del ritmo e le molteplici possibilità compositive che vengono poi applicate nella realizzazione pittorica.

Come un flusso ininterrotto si susseguono così le serie delle Bambole, in cui corpi disarticolati vengono scagliati in uno spazio privo di gravità, sembrando, per usare le parole di Jean-Paul Sartre, «apparizioni interrogative del vuoto»; quelle dei Vegetali e delle Impronte, delle Cadute e delle Ferite, queste ultime espressione di un pensiero profondo sulla natura offesa dall’uomo che si traduce in tele dalle campiture cupe squarciate da piccoli bagliori di luce.

Ci sono poi i cicli delle Acque, di un’inattesa leggerezza nonostante la predominanza del nero, delle Terre, opere della metà degli anni Novanta ispirate dai campi arati dell’Umbria, e delle Nuvole, dipinti in cui l’impasto materico fatto di acrilico e sabbia viene depositato sulla superficie sotto forma di morbide venature. E ancora i Cactus  e le Risaie, i primi ironici e minacciosi, le seconde emblematiche della capacità dell’artista di estrapolare il dato reale per trasfigurarlo e conferirgli un nuovo valore.

Infine, questa volta come un capitolo a sé stante del percorso di Emery, troviamo la serie conclusiva eseguita dall’artista nei tre anni che precedono la sua scomparsa. Prendendo spunto dal sogno di un episodio a cui assiste da ragazzo, l’atterraggio di un bombardiere americano all’aerodromo di Magadino, Emery dà vita a una sequenza di opere dal titolo Nel settembre del ’43, quadri-oggetto costruiti con vari materiali di scarto in cui quella vicenda viene rivisitata con estrema libertà inventiva.

In questi lavori il grande velivolo viene ora evocato attraverso le sue diverse parti ora rappresentato nella sua interezza come una voluminosa sagoma che oltrepassa i confini del dipinto, diventando l’ultimo, potente, simbolo di tutto ciò che da sempre è la pittura di Emery: memoria e coscienza, inquietudine e scoperta.