ll new journalism, formula inaugurata e teorizzata da Tom Wolf nel 1973, non è più una novità ed è, anzi, parte integrante e consolidata del panorama letterario contemporaneo.
I principi cardine enunciati da Wolf per definire questa, allora, inedita fusione tra letteratura e giornalismo, sono quattro: la storia deve essere costruita attraverso una sequenza di scene successive senza un narratore/cronista a fare da esplicita guida; le descrizioni devono essere dettagliate; i dialoghi, anche se «ricostruiti» devono avere ampio spazio per generare coinvolgimento e moto empatico; ogni scena va presentata dal punto di vista interiore del personaggio. Su questi pilastri si sono edificati e si reggono centinaia di romanzi reportage, spesso libri di grande successo che hanno influenzato e continuano a influenzare la narrativa contemporanea evidenziando una grande passione per i fatti di cronaca e per il lato oscuro della psiche.
Florence Aubenas è francese, ha 60 anni, e dalle nostre parti divenne involontariamente famosa quando nel 2005 venne rapita a Baghdad e tenuta ostaggio insieme al suo fixer iracheno per 5 mesi. Giornalista, ha esordito a «Libération», si è costruita una solida esperienza di reporter fino ad approdare a «Le Monde» nel 2012. Che si tratti di Siria o di Gilets Jaunes, il suo sguardo scava delle piste che attraversano conflitti e fenomeni sociali tramite un processo immersivo. Con Le quai de Ouistreham, caso editoriale nella Francia del 2010, confeziona un reportage-diario che racconta dei 6 mesi trascorsi come donna delle pulizie sui traghetti, con contratti precari, una paga inferiore al salario minimo, sfruttata e circondata da persone che lottano per mantenere aperta una prospettiva sul futuro. Un lavoro del quale si è molto discusso anche all’ultimo Festival di Cannes dove ad aprire la Quinzaine des réalisateurs è stato proprio Ouistreham, il film tratto dal suo libro (in italiano è uscito per Piemme dal titolo La scatola rossa) con la regia di Emmanuel Carrère.
Nel suo ultimo libro Lo sconosciuto delle poste, pubblicato da Feltrinelli, la Aubenas esce di scena, non è più in alcun modo protagonista della narrazione e la storia che ci racconta, un caso di cronaca, un assassinio nella provincia francese del 2008, è osservata come attraverso la lente di una telecamera. Le scene si susseguono, l’obiettivo si sofferma su lunghi primi piani, la messa a fuoco è minuziosa e l’adesione ai principi del New Journalism è totale.
La storia. Il 19 dicembre 2008 nel piccolo ufficio postale di Montréal-la-Cluse, ai confini con la Svizzera, viene ritrovato il cadavere di Catherine Burgod. Unica impiegata, incinta, viene uccisa con 28 coltellate. Indiziato principale è Gérald Thomassin, giovane attore, vincitore di un César come promessa del cinema, una vita ai margini e nel disagio che trova nel cinema d’autore spazio d’espressione per un talento fuori dal comune.
La trama di questa storia è come la trama delle vite dei personaggi di questo dramma: drammaticamente normale, intessuta di insoddisfazioni, slabbrata di frustrazioni, ferita dagli eventi, da relazioni violente e da psicosi.
Su tutti si erge con l’incomprensibilità del mito fragile Gérald Thomassin. Un’infanzia di violenze subite in famiglia, dalle famiglie affidatarie o nelle comunità per minori in cui viene inserito.
Nel 1989 Jacques Doillon inizia i casting per il suo nuovo film, Le petit Criminel, e non vuole assolutamente «un parigino piccolo borghese che interpreti un proletario» e si mette a scandagliare i centri per minori di Parigi. «Jacques Doillon resta fulminato davanti al ragazzino. Gli piace tutto di lui, perfino lo strano modo di camminare, un po’ meccanico. Ondeggia, sembra stia per cadere. E invece no, riparte con una sorta di ancheggiamento alla Charlie Chaplin nelle sue scarpe troppo grandi, un misto di grazia e goffaggine insieme. La differenza è che Thomassin cammina sempre così, anche quando le videocamere si spengono. Ha una gamba più corta dell’altra perché quando era piccolo lo investì una macchina. Nessuno pensò di portarlo all’ospedale. È proprio questo squilibrio ciò che Doillon cerca nei suoi film».
È da qui che inizia la carriera cinematografica di Thomassin e che, paradossalmente, il suo squilibrio si complica. A cavallo tra due mondi non troverà mai un punto di equilibrio. Droga, alcool e psicosi si impastano con una sensibilità estrema e un’ingenuità disarmante. Thomassin viene travolto dall’inchiesta: abitava nella «grotta», un appartamentino mezzo interrato di fronte all’ufficio postale di Montréal-la-Cluse, capro espiatorio ideale, resta impigliato per 11 anni in un processo tutto indiziario. E proprio quando la magistratura stava per proscioglierlo, scompare. L’ipotesi più probabile, avanzata dalla stessa Sezione del riesame che lo proscioglierà definitivamente nel 2020 è che «convocato nuovamente dalla giustizia nel 2019, undici anni dopo i fatti, non abbia potuto sopportare questa prospettiva e si sia suicidato».
Oggi c’è un altro processo in corso, un altro indiziato, questa volta con prove a carico e testimonianze. La giustizia farà il suo corso.
Florence Aubenas ha una penna chirurgica e poetica insieme. La sua ricostruzione dei fatti è impeccabile, ha dedicato 7 anni a questo caso, incontrando i protagonisti e le comparse. Il ritmo è dirompente, le frasi spesso brevi, gli aggettivi scarni ma indispensabili. Gli ambienti e le personalità sono resi con pochi infallibili tocchi che riverberano potentemente, creando un affresco tutto chiaroscuri, illuminando il buio e rendendolo palpabile. Terminata la lettura un interrogativo però emerge. Ed è una domanda fondamentale.
In Finzioni occidentali Gianni Celati scriveva a proposito dei romanzi realistici contemporanei che questi sono il frutto di una immaginazione «insanabilmente ridotta al credo occidentale di abolire tutte le illusioni in nome della cosiddetta realtà». Allievo di Enzo Melandri, si ritrovava nel suo pensiero e temeva una letteratura contemporanea sempre più tesa «a rimuovere ogni trauma dietro una facciata di belle parole professionali».
Se si dice spesso, con approssimazione ma cionondimeno con un buon grado di verità, che le arti, letteratura in primis, sono sempre più ombelicali, dedite all’esplorazione dell’individuo, incapaci di aprire l’orizzonte o compiere balzi fantastici, cosa rappresentano queste storie? Perché le amiamo e cosa ci dice di noi il successo del new journalism?
Siamo certi che portare alla luce crimini e misfatti non sia parte di un processo di sofisticata rimozione?
Nessun giudizio morale, sia chiaro. Florence Aubenas ha scritto un libro notevole. Notevole anche proprio perché arriva a sollevare domande fondamentali sulla natura della letteratura contemporanea. Le risposte? Forse possiamo solo continuare a leggere…
Bibliografia
Florence Aubenas, Lo sconosciuto delle poste, Milano, Feltrinelli, 2021, pp. 240