Dove e quando

nel. Fare arte nel nostro tempo. Passioni, 17, 18 e 27 novembre 2017. www.associazione-nel.ch Remo Bodei sarà ospite di Fabio Merlini, 17 nov., Studio 2 RSI, (ore 18.30) e di Giovanni Ventimiglia, 18 nov., Aula Magna USI (ore 11.00).


La passione secondo Bodei

A colloquio con il filosofo italiano Remo Bodei, che sabato 18 novembre sarà ospite della manifestazione nel. Fare arte nel nostro tempo
/ 13.11.2017
di Eliana Bernasconi

A Remo Bodei, tra i maggiori esponenti della filosofia in Italia e all’estero, docente a Pisa e presso la University of California a Los Angeles, si devono molte cose. Tra queste anche la creazione, insieme a Michelina Borsari, di un festival nato come una sfida, ma diventato con gli anni un punto di riferimento nel mondo della filosofia. Dedicato alle arti intese al plurale, quest’anno il festival di filosofia che coinvolge le città di Modena, Carpi e Sassuolo, si è chinato sulla radice comune che lega arti e tecniche, sulle forme della creazione in tutti gli ambiti produttivi, sulla questione del fare che discende dall’orizzonte tecnico, sui luoghi dell’artificiale e dell’estetizzazione del mondo e sulla «fine dell’arte», dove la dimensione del fare sembra esaurirsi nella figura tipicamente contemporanea dell’artista costruttore di sé.

Le 34’000 presenze al primo festival nel 2001 sono diventate 190’000 lo scorso anno, e sull’arco di 16 anni sono state contate due milioni di presenze. Abbiamo incontrato Remo Bodei, autore fra le altre cose di Piramidi di tempo – storie e teorie del déjà vu (2006), Geometria delle passioni (2003), La filosofia del 900 e oltre (2015), Limite, (2016) e presto ospite della rassegna «Fare arte nel nostro tempo». 

Grazie al festival avete dato vita a un nuovo genere?
Siamo stati i secondi, l’anno prima vi fu il Festival di letteratura a Mantova; ora i Festival in Italia sono migliaia, ma quelli buoni saranno una trentina al massimo. In Europa questo succede in misura minore, abbiamo quindi «esportato» questo modello anche in Francia.

Come si spiega questo straordinario successo?
Avevamo qualche dubbio a parlare di filosofia in pubblico, ma ora si parla perfino di matematica. C’è una fame di senso, c’è il bisogno di sfuggire al fast food dei giornali e della televisione, di ritornare a quello che si è imparato a scuola e magari dimenticato. Grazie all’alfabetizzazione la ricerca è cresciuta e le persone sono molto più colte che in passato. Di fronte alla volgarità e all’insignificanza del mondo in cui viviamo, molti sentono il bisogno di trovare la bellezza. Non vorrei tirare in ballo Dostoevskij, secondo cui la bellezza salverà il mondo, ma credo comunque che essa ci possa aiutare a trovare un equilibrio.

Qual è l’idea di bellezza oggi?
Il concetto di bello è sempre presente nelle arti, ma si modifica secondo il luogo geografico e il tempo storico. Ad esempio fino alla fine dell’800 la cultura occidentale considerava brutte le maschere africane e la grafica cinese. L’antitesi non è dunque tra bello e brutto ma tra bello e significante. Nella modernità la bellezza è di massa, e risiede in ciò che è utile. Non è più come nel Rinascimento dove si facevano oliere d’oro e di cristallo; la bellezza è nella tecnologia, comprando una caffettiera ne vediamo certamente la bellezza, ma si tratta di un valore aggiunto.

Molti sono scandalizzati davanti alla presunta bruttezza di alcune opere dell’arte contemporanea, forse perché non ne capiscono il significato. Lei ha illustrato la Teoria estetica, pubblicata postuma da Adorno nel 1970. Come ci risponderebbe questo grande filosofo?
L’arte moderna va contro le tradizioni, Adorno disse che l’arte moderna era in lutto, perché dopo Auschwitz non sarebbe mai più stato possibile parlare di bellezza nell’arte, aspirare a un’armonia pacificatrice inevitabilmente stonata. In tutte le espressioni della sofferenza la promessa di felicità del bello brilla nella sua visibile assenza o nella sua costitutiva incompiutezza. Il brutto capovolge la gerarchia estetica tradizionale, è una protesta indiretta per la disumanità esistente.

Intende dire che il brutto non si sceglie, lo impone la realtà?
Lo dimostra un aneddoto su Picasso raccontato da Adorno: un ufficiale delle truppe di occupazione tedesca visitò il suo Atelier e indicando Guernica chiese: l’ha fatto lei? pare che Picasso gli abbia risposto: «No, lei». L’arte esprime così il grido di orrore che sale dalla realtà mortalmente ferita, invitandola a compromettersi con la «cattiva realtà», quella denunciata appunto dal brutto con la sua sola esistenza.

Parlando dell’arte di vivere lei ha detto che siamo in un’epoca di globalizzazione avanzata ma non ne abbiamo coscienza, in che senso ?
Vi è un’accelerazione del tempo tipica della modernità, ma la nostra vita è legata alla caducità umana. Non sappiamo che siamo in un mondo interconnesso ed è difficile capire che il sapere non corrisponde alla realtà, che con la nostra percezione non siamo in grado di rivolgerci al futuro. Ci creiamo immagini consolatorie dei decenni passati, tre miliardi di persone hanno il cellulare, due miliardi il computer, eppure oggi il vero lusso è essere disconnessi. Non voglio dire che questi mezzi non servono, ma essere disconnessi ci permette di costruire noi stessi, la zona della nostra interiorità.