Si intitola Legni preziosi la mostra ospitata negli spazi della Pinacoteca Züst di Rancate che raccoglie un nutrito gruppo di opere sacre realizzate tra il XII e il XVIII secolo: Madonne, Crocifissi, busti, polittici, ma anche reliquiari, tabernacoli e altari a sportelli, tutti rigorosamente intagliati nel legno e intimamente legati al Canton Ticino.
È un titolo sicuramente emblematico, questo, che nell’accostamento del termine «prezioso» a un materiale «povero» vuole ridare dignità a un tipo di produzione che per tanto tempo ha avuto scarsa considerazione, scalzando i pregiudizi che l’hanno relegata a semplice espressione d’arte popolare. Per la sua economicità e per la sua facile reperibilità, difatti, il legno ha sempre sofferto il confronto con elementi ritenuti di gran lunga più pregiati, marmo o bronzo ad esempio, cosicché i manufatti lignei sono stati spesso ritenuti una forma artistica minore, avvicinabile più all’artigianato che all’arte vera e propria.
Trascurata anche sul fronte degli studi scientifici, in area ticinese è solo negli ultimi trent’anni che la scultura in legno è diventata oggetto di indagini specifiche, che, sebbene ancora sporadiche, hanno però già ampiamente dimostrato la ricchezza e l’alto valore di queste opere, dietro le quali si possono rintracciare le correnti culturali e le vicende umane che hanno caratterizzato nei secoli passati il nostro cantone.
La rassegna di Rancate si inserisce pienamente in questa operazione di riscoperta e scoperta delle testimonianze di una tradizione artistica che ha saputo approdare a livelli di grande qualità, palesando i suoi strettissimi legami con ciò che accadeva nelle diverse regioni italiane, l’attuale Lombardia su tutte, e nell’area tedesca, in un susseguirsi continuo di scambi e influssi da nord e da sud.
Una mostra di ricerca, dunque, che, come spesso accade per le esposizioni organizzate dalla Züst, muove da una meticolosa ricognizione sul territorio con l’obiettivo di fare emergere opere non ancora pienamente valorizzate, quando non del tutto dimenticate, e di dare impulso agli studi avanzando ipotesi attributive e proponendo nuovi spunti di analisi.
Nell’allestimento curato dall’architetto Mario Botta, connotato dal suggestivo contrasto tra il grigio scuro delle pareti e i colori vivaci dei supporti realizzati con materiale di cantiere, si avvicendano in ordine cronologico lavori lignei provenienti da chiese, monasteri e musei ticinesi, molti dei quali sono stati oggetto di interventi di restauro o di verifiche sullo stato di conservazione proprio in occasione della rassegna.
Il percorso prende avvio dall’epoca medievale con alcune opere che nella loro varietà rispecchiano bene la peculiare situazione del nostro cantone quale area di frontiera, aperta da una parte alla cultura della Lombardia e dall’altra ricettiva nei confronti del mondo d’Oltralpe. Di mano di uno scultore lombardo è la romanica Madonna in trono col Bambino di Arogno, che siede austera e solenne su uno scranno finemente decorato e che allo stato attuale delle conoscenze è la più antica testimonianza della produzione lignea medievale ticinese. Di grande impatto è anche il Crocifisso di Olivone, fatto risalire al primo quarto del XV secolo e anch’esso riconducibile a un maestro lombardo, un’opera dalla potente drammaticità espressa nella fisionomia smagrita del Cristo e nel suo volto severo.
Nel Rinascimento si fa ancora più evidente lo stretto rapporto con la Lombardia, cosa piuttosto naturale se si pensa che fino al 1513 il Ticino appartiene al Ducato di Milano e fino all’Ottocento dipende dal punto di vista ecclesiastico dalle Diocesi di Milano e di Como. Molti degli intagli presenti nella sezione cinquecentesca della mostra sono difatti eseguiti dai medesimi artisti operanti nei territori lombardi, a partire dai fratelli De Donati, che realizzano l’ancona di Ponte Capriasca di cui a Rancate è esposta la statua raffigurante Sant’Ambrogio, o da Giacomo Del Maino, alla cui bottega si deve l’inedita Madonna di Loreto di Bellinzona, solitamente non visibile al pubblico.
Nella rassegna viene ben documentata anche la presenza nel cantone di lavori di fattura tedesca, con una sala che raduna alcuni manufatti arrivati dal Nord al tempo della Riforma, quando numerose opere vengono rivendute nelle aree rimaste fedeli alla dottrina cattolica. Tra queste spicca la Pietà di Claro, collocabile tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo (e ampiamente rimaneggiata nel Seicento), che ritrae Maria avvolta in un’abbondante veste drappeggiata con in grembo un Cristo dal corpo livido ricoperto di sangue rosso carminio.
Nel XVII secolo ci troviamo di fronte a diverse opere conformi ai nuovi dettami liturgici della Controriforma guidata dal cardinale Carlo Borromeo, con la Madonna del Rosario che diventa una delle iconografie più rappresentate. Una versione non proprio ligia di questo soggetto ci è proposta in mostra dalla statua lignea della chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Mendrisio, in cui l’autore, uno scultore di area lombarda, ha voluto rinnovare il modello con piccoli strappi alla regola nella postura del Bambino e nello sguardo della Vergine.
I lavori settecenteschi presenti a Rancate attestano poi l’apertura del nostro cantone verso altri territori italiani, come la Liguria, la Romagna o il Piemonte Sabaudo. Il dinamico e aggraziato San Vincenzo Ferrer di Vacallo è difatti riconducibile a uno scultore genovese, mentre per il compassato Beato Angelo Porro di Mendrisio, figura dal potente realismo che appartiene alla tipologia delle statue vestite, si è ipotizzato un artista romagnolo.
Curioso, infine, e degno di nota visto il periodo natalizio, è il Presepe proveniente dal Museo di Leventina a Giornico: creato per accumulo, ha preso forma nel corso di tre secoli, vedendo l’iniziale nucleo composto da una cinquecentesca Sacra Famiglia di ambito tedesco arricchirsi via via con angeli, pastori e animali intagliati da scultori locali. Un’opera che, per la sua eterogeneità, sa restituire bene quel carattere multiculturale tipico della terra ticinese.