A novant’anni riuscire a risolvere delle parole crociate difficili dimostrerebbe una lucidità mentale fuori dal comune; ancor più ammirazione desterebbe un intellettuale novantenne capace di sostenere una conferenza su temi a lui consoni. Bernard Haitink è nato il 4 marzo del 1929 e oggi è uno dei direttori d’orchestra migliori al mondo. Non per anzianità: non è un mito vivente che si trascina su podi prestigiosi ricevendo applausi più per la sua carriera che per l’interpretazione offerta; non tentenna la bacchetta e non s’affida al «mestiere» per avviare orchestre poi lasciate all’autogestione. No.
Il novantenne maestro olandese era cinquant’anni fa ed è anche oggi uno degli interpreti più profondi, intelligenti e carismatici che sia dato di ascoltare. Lugano ha avuto il privilegio, invidiato dalla Scala e dai teatri di mezzo mondo, di averlo per due concerti durante la settimana di Pasqua con l’orchestra Mozart, l’ultima creatura di Claudio Abbado che ha voluto come successore proprio Haitink. La quinta sinfonia di Schubert e l’«Eroica» di Beethoven sono state eccezionali non solo per la qualità tecnica dell’esecuzione, ma per l’originalità della visione, la personalità dell’interpretazione, la cura di ogni dettaglio. E questo grazie ad Haitink. Lo confessavano gli stessi orchestrali in quei giorni, raccontando come il maestro correggesse, suggerisse, spiegasse, forte magari di un’intuizione nuova avuta durante una prova.
A domanda precisa lui negherà, fedele come sessant’anni fa a una riservatezza e un’umiltà innate. «Perché dirigo ancora alla mia età? Perché mi invitano» spiega sfoggiando un sorriso per nulla affettato; in questi giorni dirige i Berliner Philharmoniker, durante le ultime estati lo si è potuto ammirare anche al festival di Lucerna. «Però credo che per me il prossimo anno sarà sabbatico» e qui sì che sorride; l’addio alle scene che tutti temono? «Vediamo. Intanto continuo a far musica con le orchestre che più amo; la Mozart è formata da musicisti che militano in altre orchestre e si ritrovano per il puro piacere di suonare assieme; io godo a partecipare di questa gioia».
Oltre sessant’anni di carriera sono un punto di vista privilegiato per giudicare le sorti della classica: «Ho debuttato al Concertgebouw di Amsterdam nel 1956, ho avuto la fortuna di vivere in un’epoca di giganti, da Kleiber a Solti e Karajan; ma già a metà Novecento sentivo vibrate lamentele contro l’invecchiamento del pubblico e l’inesorabile diminuzione del numero degli amanti di opere e sinfonie. Credo che il problema sia un altro: a Berlino, dove i biglietti hanno prezzi abbordabili, le sale sono piene di giovani e giovanissimi».
In Haitink si cercherebbe invano una lode aprioristica ai bei tempi passati; anche quelli che lo riguardano: «Sono cambiato e tanto. La natura ha le sue leggi e si fanno sentire sul mio corpo, non posso più muovermi come facevo un tempo: avanzo lento sul palco, mi devo reggere a un bastone, tra un tempo e l’altro di una sinfonia mi siedo un attimo, le braccia non volteggiano più come trent’anni fa. Ma davvero tutto ciò è un danno per la musica? Penso di no. Quando si è giovani si vuol dimostrare, ci si vuole imporre, si sente il bisogno di far capire a chi sta davanti che si hanno idee e personalità; lo facevo anch’io. Anno dopo anno ho capito che l’ideale è far scomparire sempre più il proprio io per far emergere la musica: ad esempio già prima che la vecchiaia si imponesse avevo iniziato a rendere i miei gesti più essenziali, spogliati di tante movenze superflue che finiscono per intralciare: alla fine a suonare non è chi sta sul podio ma chi imbraccia gli strumenti».
L’unica lode al passato coincide con l’invadenza dei social: «Oggi, grazie ai social e ai media in generale, un giovane è osservato e studiato da tantissimi, non può permettersi di sbagliare o fare un passo indietro; sessant’anni fa c’era tutto il tempo di crescere e sbagliare, se ne poteva accorgere molta meno gente».