Bibliografia
James Ellroy, Panico, traduzione di Alfredo Colillo, Torino, Einaudi, 2021


La lingua di Ellroy

L’ultimo romanzo di James Ellroy. La consueta qualità e l’impegnativa e notevole traduzione italiana di Alfredo Colillo
/ 25.10.2021
di Stefano Vassere

Chissà se veramente James Ellroy «è una delle voci più originali e potenti della letteratura americana contemporanea», come dice il risvolto di destra di questo nuovissimo Panico dell’autore californiano. A rigore, per rispondere a questo dilemma bisognerebbe sapere del resto della letteratura americana contemporanea, impresa, si sa, inarrivabile ai più. Diciamo che è più prudente ma molto fondato dire che Ellroy è senza dubbio originale e potente, a maggior ragione in quanto piegato nell’angusto e condizionante angolo dei generi. Sta di fatto che ogni sua nuova uscita è salutata con grande cerimonia, trattandosi ogni volta di un vero e proprio ritorno, di fronte al quale chi lo ama brama di ritrovare, in una specie di mania, stili e temi che già apprezza.

Questa è la storia di Freddy Otash, che ha lavorato nella polizia di Los Angeles, ma ne è cacciato per un fattaccio che non staremo a dire e decide di occuparsi nell’investigazione; per via di fatti privati ma soprattutto per vendere casi piccanti al tabloid scandalistico «Confidential». Otash è vissuto davvero e, nel mondo ellroyano, emerge come spin off dallo sfondo di romanzi e vicende precedenti. Ora è al Purgatorio, in attesa che la suprema confessione del racconto della sua vita lo trasferisca (con pochi onori, invero, ma è la legge dell’hard boiled) in Paradiso.

I romanzi di James Ellroy chiedono sforzi sovrumani al lettore. Se alle prese con un testo del realismo magico sudamericano chi legge è costretto a tenere lì uno schemino dei personaggi, tanti sono i protagonisti e le loro trame reciproche, qui lo stesso lettore rinuncia in partenza, affidandosi alla speranza di non perdere proprio del tutto il filo, in un continuo avanti e indietro delle pagine con il dito. Le ossessioni sono quelle che conosciamo: gli attori di Hollywood e i loro vizi, malavite varie, complotti politici, politici ancora più debosciati degli attori, russi, donne e donne, bourbon e benzedrine. Un milieu che il lettore locale può solo immaginare tanto è lontano dallo stare al mondo europeo; lontano peraltro dal giallo britannico e dalle sue vecchine che risolvono casi di maggiordomi di campagna mentre preparano una torta o accarezzano il gatto. L’ambiente di Ellroy è lasciato alla fine nel marcio totale, nella migliore delle ipotesi nello squallido stato nel quale lo avevamo incontrato all’inizio della narrazione.

Sappiamo che Ellroy esagera, con lo stile, con le parole, con le ipotesi e con le trame, e che molte sue uscite hanno il tono della posa, addirittura colpevolmente dichiarata. Come quando è lui stesso a citare il suo medesimo stile, in una delle vertigini che fanno letteralmente impazzire i tifosi: «io penso e scrivo in allitterazioni algoritmiche. La lingua deve sferzare con mano pesante. Liberare mentre offende». Sta parlando di «Confidential» o dei suoi libri? Mah? Insomma, chi adora questo autore adora anche i suoi difetti, che, dopo anni di esercizio, riconosce a prima vista rendendo l’autore americano uno di casa.

Si è detto che le richieste al lettore sono fuori misura. Restano inferiori comunque a quanto si presume dal traduttore, qui Alfredo Colitto, cui le prossime righe rappresentato un doveroso omaggio. Il lettore ciclico dello scrittore californiano non può risultare ammirato dalla resa di allitterazioni furibonde e sintassi sincopate. «We looked down at the dregs and the dreck and the dreamy drag queens dragging themselves through the aisles» che diventa «Ce ne stavamo a guardare residui e relitti resuscitati e tragici travestiti tra le corsie». Oppure «It’s the lexicon of the lowdown. It’s the dialogue of the dish. It’s the slithering slur and the thrill of the threat», in italiano «È il lessico delle ultime novità. Il dialogo del pettegolezzo. Il farfugliare farraginoso e il fremito della frecciata». Bref: Ellroy è bravo, ma lo sarebbe ancora di più se attraversasse l’Oceano e andasse di persona a casa di Alfredo Colitto a porgergli la mano e dirgli: «Bravo! E bravo Alfredo».