La lingua batte - Il patrimonio della scrittura a mano

Penna, inchiostro e calamaio… 2.0
/ 06.04.2020
di Laila Meroni Petrantoni

Immaginate. State sfogliando questo numero di «Azione». Immaginate. Ogni singolo articolo è scritto a mano: da ciascun redattore o redattrice, ognuno con la sua grafia. Fareste certamente fatica a capire ogni singola parola alla prima occhiata, dovreste soffermarvi qua e là: «cosa c’è scritto qui?» Risolto il rebus, riprendereste a leggere. Senza fretta. Sotto i vostri occhi non ci sarebbe una sequenza di caratteri tipografici, senza una sbavatura, rigorosamente in fila per condurvi alla comprensione di un messaggio. Di ogni articolo intuireste invece anche l’impegno fisico di chi lo ha scritto, riconoscereste l’unicità e la sincerità della sua grafia come se fosse la sua carta d’identità, accompagnereste il viaggio di ogni parola sulla strada a senso unico fra mente, mano, penna e foglio.

In questo 2020 siamo costretti a tirare il freno di emergenza e a rallentare tutto. La tecnologia ci aiuta sì a mantenere il contatto con il mondo esterno, tuttavia perché non approfittare di questa generale stasi e mettere da parte tastiere e schermi? Perché non impugnare una penna, meglio ancora se stilografica?

È una fatica: alcuni muscoli si mettono in moto secondo schemi ai quali non erano più avvezzi lanciandosi in prestazioni a lungo dimenticate, la mano adatta la velocità allo sforzo e così la mente ha tutto il tempo di soffermarsi su ogni singola parola, scacciando la frenesia tentatrice. Poi si potrebbe anche provare a trasformare la propria grafia in calligrafia (dal greco calòs, bello), ossia in un segno piacevole, magari artistico.

Secondo gli scienziati, la scrittura a mano sviluppa la memoria e la capacità di organizzare le informazioni nelle aree del cervello specializzate, stimolando nel contempo il pensiero e la creatività. Ognuno di noi può verificarlo, provare per credere. Scrivere a mano apre tante porte: forse non più di quante ne aprirebbero le dita sulla tastiera del computer, ma sospetto fortemente che siano porte diverse. E ho l’impressione che molti eviterebbero di cedere alla scrittura compulsiva, che lascia sul campo termini e frasi (e concetti) non ragionati, troppo veloci, di cui ci si pente quando ormai hanno preso il largo nell’oceano delle reti social.Da tempo immemorabile l’umanità coltiva la grafia anche come forma d’arte e dunque celebrazione di bellezza: si pensi alle calligrafie orientali, o a quelle arabe, o a certi meravigliosi manoscritti lasciati dalle culture occidentali prima dell’avvento della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. La seconda metà del secolo scorso ha visto l’esplosione della scrittura «meccanica» anche nella vita quotidiana di ognuno: le informazioni, le idee, la comunicazione sono state affidate sempre di più a uno schermo e a una memoria non-umana. Eppure, come spesso si nota in svariati ambiti, anche la scrittura a mano sembra vivere un ritorno, magari un nuovo momento di gloria. Citiamo qui due iniziative fra le altre, messe in campo in Italia. L’Istituto Grafologico Internazionale Girolamo Moretti di Urbino sta lavorando affinché la scrittura a mano sia iscritta dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità. Poi scopriamo l’esistenza dell’Associazione SMED «Scrivere a mano nell’era digitale», con i suoi corsi e laboratori molto ben frequentati. Una veloce ricerca svela inoltre che già diversi istituti scolastici ed accademici invitano gli studenti a prendere appunti di nuovo con carta e penna, lasciando il tablet in modalità ozio. E addirittura alla scrittura a mano è stato dedicato un posto sul calendario, la casella del 23 gennaio, giornata in cui si concentrano iniziative in più ambiti a favore della premiata ditta cervello-mano-penna-foglio.Io tifo per questo ritorno, mentre mi guardo le dita chiazzate di inchiostro blu.