Grüss mir Lugano – cioè «salutami Lugano» – è innanzitutto il titolo di una vecchia canzone, uno Schwyzer-Ländler (tipica forma della canzone popolare confederata) scritto nel 1938 da Walter Wild: organetti, violini e fiati, per un brano che recita «Salutami Lugano, salutami il lago, le palme e il Monte Brè. Salutami le rose e il sole splendente, salutami Lugano, il mondo sognante e la mia signorina mora».
Da poco tempo Grüss mir Lugano è però anche uno spettacolo del tutto particolare «una serata con molta musica, dal popolare fino al jazz passando per la classica e la canzonetta. Con uno schermo e musicisti raddoppiati, una banda in prova, un coro, una macchina da caffè, almeno una palma gonfiabile e un po’ di nostalgia per il lato sud delle Alpi».
Il nucleo fondante «Grüss mir Lugano» è costituito dal gruppo C’est si B.O.N.: una realtà ben radicata nel panorama della musica popolare, formata da giovani musicisti (quasi tutti membri della famiglia grigionese Janett) che però hanno maturato significative esperienze anche in generi cosiddetti colti. Anche se l’idea di realizzare un vero e proprio spettacolo attorno all’immaginario della canzone di Walter Wild è venuto alla regista teatrale Kathrin Siegfried e al filmmaker Georg Vogel.
«Il leitmotiv del lavoro – ci dice Madlaina Janett, violista del gruppo ma anche operatrice culturale di ampio respiro – è quello della nostalgia, in quell’accezione popolare e forse un po’ demodé che il pezzo Grüss mir Lugano perfettamente evoca. Una nostalgia del Sud, del sole e delle palme che ha accompagnato da generazioni anche la mia famiglia». Oltre al tema c’è però anche un espediente tecnico – estremamente contemporaneo – che rende lo spettacolo ulteriormente attraente: la presenza di «un telo di proiezione su cui il gruppo si trova sdoppiato, portando la band reale in dialogo costante con il suo alter ego (registrato e prodotto in precedenza) presente sullo schermo».
Nuovissimo e antico si incontrano quindi senza soluzione di continuità in Grüss mir Lugano, con al centro uno stereotipo che concerne da vicino il canton Ticino. «Lo spettacolo non è però solo nostalgia e malinconia ma – anzi! – vuole gettare anche uno sguardo ironico, giocando con i miti popolari, con il senso del kitsch: in diversi punti dello spettacolo la nostalgia dovrebbe sovrapporsi e confondersi con la risata». Dovrebbe o deve? «Suonando spesso musica popolare ci siamo accorti che non si possono mai dare per scontate le percezioni e le reazioni del pubblico. Per quanto cerchiamo di essere chiari nel nostro approccio ironico verso certi cliché c’è sempre qualcuno che capisce il contrario e prende molto sul serio dei contenuti che per noi sono unicamente evocativi».
E – considerata qui dal sud – l’ironia su un Ticino tutto palme, laghi e soleggiati sorrisi non può che risultare necessaria. Ma per meglio entrare nella parte ed elaborare il tema il gruppo C’est si B.O.N. ha dovuto anche risiedere e lavorare nella Svizzera italiana? «In relazione allo spettacolo sono stati soprattutto regista e videomaker a frequentare spesso il Ticino. Ma noi membri del gruppo siamo comunque stati spesso in Ticino, e io stessa ho trascorso diverso tempo nel vostro cantone: per uno scambio durante il liceo e – ora che la mia cognata vive in Ticino – ci vengo di frequente imparando a conoscere la vita reale, lontana dagli stereotipi turistici». Una quotidianità nostrana che in Madlaina Janett genera meraviglia e perplessità: «Non riesco a capire perché i ticinesi usino così tanto l’auto, creando sempre nuove strade sistematicamente piene d’ingorghi: per la mentalità svizzerotedesca è davvero inconcepibile come si possa rovinare un paesaggio così bello con un traffico invadente e onnipresente. Poi però capita di spostarsi nell’Alto Malcantone e in poco tempo si recupera quell’intatta meraviglia che deve aver ispirato i miti popolari».