Un’efficace rappresentazione delle atrocità della guerra si deve al tragediografo ateniese Eschilo, che nel 472 a.C., a soli 7-8 anni di distanza dalla vittoriosa conclusione della seconda guerra persiana, mise in scena i Persiani. La trovata geniale di Eschilo fu di ambientare la tragedia non ad Atene, ma nella reggia persiana, rappresentando così la guerra dalla parte dei vinti. Nel lamento del coro l’accento è posto sulla giovane età dei defunti: «Ahimé signore, ahimé per il nostro bell’esercito perduto […] La terra geme sui giovani morti […].» (Persiani, vv. 917 ss.).
Alle guerre persiane, che videro contrapposte Grecia e Persia, Europa ed Asia, Occidente e Oriente, sono dedicate in buona parte le Storie di Erodoto. In un passo del I libro, egli mette in bocca a Creso, il re di Lidia sconfitto dal persiano Ciro, questa riflessione sull’assurdità della guerra, che implica un rovesciamento dell’ordine naturale delle cose: «Nessuno è così stupido da preferire la guerra alla pace: nella pace infatti i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i padri seppelliscono i figli» (I, 87, 4).
Gli ultimi decenni del V sec. a.C. (431-404 a.C.) videro deflagrare in Grecia la guerra del Peloponneso, un conflitto totalizzante nel quale si affrontarono due coalizioni: da un lato Atene e i suoi alleati (Lega delio-attica), dall’altro Sparta e i suoi alleati (Lega del Peloponneso), fino alla vittoria finale di quest’ultima. Lo storico di questa guerra è l’ateniese Tucidide, la cui opera narra i primi vent’anni del conflitto, fino al 411 a.C. Tucidide riflette sul degrado intellettuale e morale causato dalla guerra (III, 82) e denuncia la logica brutale dell’egemonia nel cosiddetto Dialogo degli Ateniesi e dei Melii (La guerra del Peloponneso, V, 86-116), resoconto drammatizzato dell’incontro tra una delegazione ateniese e una degli abitanti della piccola isola di Melo, colonia di Sparta, rea di non volere aderire alla Lega delio-attica capeggiata da Atene. Alle ragioni degli isolani gli Ateniesi ribattono cinicamente facendo valere la legge del più forte: «Chi ha forze superiori fa tutto ciò che gli è possibile e ai più deboli non resta che accettare […] noi siamo qui nell’interesse del nostro impero» (V, 91).
È soprattutto alle tragedie di Euripide e alle commedie di Aristofane che si deve una radicale critica della guerra. Il primo lo fa servendosi del filtro del mito (in primis la guerra di Troia); il secondo, mettendo direttamente in scena la contemporaneità.
Nelle Troiane, rappresentate nel 415 a.C., sono le donne della città di Troia, conquistata dai Greci grazie all’inganno del cavallo, a riflettere sulle atrocità della guerra intonando un canto funebre per la città distrutta (vv. 511-567). Uno dei momenti di maggior pathos della tragedia è costituito dal lamento della vecchia regina Ecuba sul cadavere del nipotino Astianatte (Euripide, Troiane, vv. 1167-1191), che riprende tra l’altro il motivo erodoteo dell’innaturalità della guerra: «Tu non mi seppellirai; sono io, una vecchia senza casa e senza figli, a mettere nella tomba il tuo corpo straziato, così giovane […]».
Negli Acarnesi (425 a.C.) Aristofane prende posizione contro la guerra che ormai da sei anni contrapponeva Ateniesi e Spartani (e i rispettivi alleati). La critica è affidata al protagonista Diceopoli (un nome parlante: «La città giusta»), che denuncia la futilità dei motivi di carattere economico che a suo avviso portarono al conflitto (vv. 509-539). Un’altra commedia di Aristofane, La pace (421), celebra la tregua (destinata invero a durare ben poco) nota come pace di Callia, esaltando la pace come periodo di prosperità e tranquillità (vv. 1127-1190). Nella Lisistrata (411), infine, la protagonista che dà il nome alla commedia assume una clamorosa iniziativa: le donne ateniesi attuano lo sciopero dell’amore per indurre i loro uomini alla pace e occupano l’Acropoli di Atene, dove è custodito il tesoro, per bloccare i fondi necessari ad alimentare la guerra (Lisistrata, in particolare vv. 486 ss.).
L’associazione tra pace e prosperità e quella tra pace e democrazia sono messe in luce dall’oratore ateniese Isocrate (IV sec. a.C.) nel discorso intitolato appunto Sulla pace (356-354), in cui esorta gli Ateniesi a porre fine alla cosiddetta guerra sociale (ossia contro gli alleati di Atene) e prende posizione contro l’imperialismo ateniese, che «ci ha reso odiosi ai Greci e in tutti i modi ci ha afflitti», mentre «la democrazia prospera e permane nella pace e nella sicurezza» (Isocrate, Sulla pace, 19 e 51).