Douglas Sirk fa parte di quei registi popolari che proprio perché troppo di successo vengono snobbati dai critici del proprio tempo e che solo negli anni seguenti sono riconosciuti nella loro grandezza. Locarno ha fatto bene a dedicargli la retrospettiva integrale (dopo che già nel 1978 vennero presentate sul Verbano, accompagnati dallo stesso regista, alcune sue opere). È il giusto omaggio a un artista anche un po’ nostro, visto che decise di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Lugano ed è sepolto a Castagnola.
Come ha ricordato il direttore Giona A. Nazzaro su queste pagine, i giusti riconoscimenti gli furono attribuiti prima da Jean-Luc Godard (con un articolo sui «Cahiers du cinéma» del 1959) e poi da Rainer Werner Fassbinder che in un articolo del 1971 vide in Sirk un padre artistico e un riferimento culturale (erano entrambi tedeschi) fondamentale.
Ma Sirk aveva iniziato a girare film già diverso tempo prima e più precisamente negli anni Trenta in Germania per l’UFA (la più importante casa di produzione tedesca) in quella che fu la sua prima fase artistica. All’epoca si chiamava Detlef Sierck e diresse opere che ebbero un grande successo popolare sia all’interno sia fuori una Germania già dominata dal nazismo, ma ancora disposta a sopportare un autore di successo come lui, seppur con una moglie ebrea. In pellicole come Le colonne della società, Habanera, La prigioniera di Sidney e La ragazza di Moorhof ci sono le basi del suo cinema che poi perfezionerà nei decenni seguenti. Siamo già nel campo preferito del regista tedesco, quello del melodramma e in particolare nel dramma cantato con la scoperta dell’attrice Zarah Leander, colei che poi divenne la più acclamata star del Terzo Reich. Sono film nei quali la cura delle inquadrature, l’uso delle ombre e delle luci, il montaggio che divide le scene in modo ragionato, l’ambientazione all’aria aperta (in un’epoca nella quale si girava molto all’interno) e la direzione degli attori si fanno sempre più precisi.
Negli anni Quaranta, con la sua fuga negli Stati Uniti e il cambio di nome, si misura soprattutto con il noir e vive una transizione necessaria verso il suo periodo più importante e conosciuto – grazie all’arrivo alla Universal nel 1950 – dove si confronta con altri generi come la commedia, il western e l’avventura per arrivare a (ri)scoprire il melodramma.
Quando oggi hai la possibilità di rivedere le pellicole di quegli anni ti accorgi di quanta eleganza, raffinatezza e ricercatezza ci fosse in Sirk. A tal proposito è emblematica, in Magnifica Ossessione, la scelta di girare una lunga scena notturna tra i due amanti (Jane Wyman e Rock Hudson) dopo che lei rimane cieca a causa di un incidente; un atto di delicatezza e un modo di adeguarsi al suo andicap. Così come è passata alla storia un’altra scena (resa celebre dal montaggio alternato) di Come le foglie al vento, nella quale un ricco industriale muore mentre nella stanza vicina la figlia, balla scatenata con la musica a tutto volume.
Due piccoli momenti all’interno di una filmografia importante e, come detto, molto popolare dove gli intrighi amorosi, le scene tragiche e quelle d’azione non mancano mai, perché Douglas Sirk è stato un regista che ha sempre pensato al piacere del pubblico prima che alla sua firma e al suo ego autoriale.