Dopo John Neumeier, Maurice Béjart e altri coreografi, anche il tedesco Marco Goecke, artista in residenza in due compagnie d’eccellenza quali lo Stuttgart Ballett e il Nederland Dans Theater e futuro direttore del balletto dell’Opera di Hannover, ha varato nel 2016 a Stoccarda con la Gauthier Dance Company un balletto in cartellone all’Opernhaus fino al 6 giugno in una nuova versione, che affronta quella leggenda della danza che è Vaslav Nijinski.
Vero e proprio mito nei cieli dell’arte, ricordato anche in cinema, teatro, letteratura e nelle arti figurative, Nijinski nasce a Kiev nel 1889/90 e attraversa le scene proprio come una meteora regalando al mondo le sue interpretazioni in Giselle, Petrushka, Sheherazade e Spectre de la Rose, nonché coreografie rivoluzionarie quali Après-midi d’un faune e Sacre du printemps. A partire dal 1908 il meraviglioso «clown de Dieu» che salta più in alto di tutti fa parte dei Ballets Russes di Diaghilev, padre-padrone e suo amante fino al 1913, quando questi, accecato dalla gelosia dopo aver saputo del matrimonio di Nijinski con la contessa ungherese Romola de Pulszky, lo scaccia dalla sua compagnia, forse acuendone la schizofrenia che lo accompagnerà sino alla morte nel 1950.
Marco Goecke disegna nel suo Nijinski non tanto una serie di aneddoti, bensì una perfetta biografia dell’anima e del corpo dell’uomo e artista che rivoluzionò l’immagine stessa del ballerino, realizzando, sul filo di un espressionistico flusso di immagini, una sorta di balletto psicologico. La sua cifra stilistica è una sintesi delle correnti della danza europea degli ultimi trent’anni passate al setaccio di una forte personalità di coreoautore. Facendo danzare ora soltanto il protagonista Vaslav ora tutti i ballerini, Goecke dà via via spazio a Terpsichore, la musa della danza, quindi alle persone, ai ruoli e ai fatti cruciali nella vita dello sfortunato artista: la madre, Diaghilev, la moglie, il Fauno, la Rosa, Petrouska, l’identità sessuale, la psiche disturbata.
Ma più di tutto la sua danza, i fulminei, turbinosi movimenti di braccia e mani, gli spasmi delle spalle, le drammatiche espressioni del volto; la danza che verrà praticamente azzerata nel finale, nel comunque trascinante decimo quadro con un Nijinski perso a disegnare cerchi all’infinito, in un ultimo barlume di creatività. All’avvincente parte visiva si giustappone il romanticismo malinconico dei Concerti per piano e orchestra 1 e 2 di Chopin, inoltre una suggestiva ninnananna russa, nonché la musica dell’Après-midi d’un faune di Debussy, quando in scena si assiste a un sensualissimo dialogo con un doppio. Da ricordare anche il colpo magnifico dei petali di rosa che cadono dall’alto con uno scoppio, un eloquentissimo accenno a quello Spectre de la Rose di Fokine che aveva tanto infiammato e diviso il pubblico d’inizio Novecento.
Di grande intensità ed espressività l’interpretazione di Jan Casier nel ruolo in titolo: erotico Fauno nel passo a due maschile, toccante nel parossismo mentale e fisico. Il folto pubblico gli ha riservato giustamente una standing ovation. Bravi altresì William Moore nei panni di Diaghilev, Yannick Bittencourt in quelli di Isajef, Katja Wünsche quale Terpsichore, Mélanie Borel quale Romola e tutti gli altri ballerini del Ballett Zürich. Battimani anche per Marco Goecke, per la scenografa e costumista Michaela Springer, per Pavel Baleff alla testa della Philarmonia Zürich e per il pianista Adrian Oetker.