La cupezza di Kristof letta da Alpenfelt

Una società malata come macabro sfondo alla commedia
/ 14.12.2020
di Giorgio Thoeni

Molti testi che precedono La trilogia della città di K., il romanzo più famoso di Ágota Kristóf (1935-2011), sono stati scritti in francese e in un certo senso testimoniano il suo incontro il teatro. Un processo iniziato già negli anni Settanta-Ottanta con alcune pièce che hanno anche avuto il pregio di conquistare i lettori svizzeri di area romanda e quelli francesi. Da alcuni mesi, quattro testi scritti nel 2008 dall’esule ungherese, neocastellana d’adozione, sono in libreria in versione italiana grazie alla traduzione di Marco Lodoli e alla pubblicazione dell’editore Casagrande che li ha riuniti in un unico volume dal titolo Il Mostro e altre storie.

Sono testi cupi, storie paradossali, talvolta macabre e grottesche, attraversate da comicità, ironia e circondate da quella caratteristica cornice attorno a personaggi confrontati con il potere, il male e con una – quasi necessaria – idiozia. Il Teatro Sociale di Bellinzona, con brillante tempismo, ha voluto produrre L’epidemia, forse la più strana di quelle pièce, affidandone la regia ad Alan Alpenfeldt.

Originariamente destinato a un vero e proprio allestimento, il regista ha fatto di necessità virtù adattandola a una lettura scenica animata da quattro attori. Una serie di suicidi scuote un villaggio messo in quarantena dopo che uno strano virus induce i suoi abitanti al suicidio. Un ignaro automobilista incappa nella zona e salva una giovane donna liberandola dalla corda a cui si era appesa nel bosco e se ne innamora. Attorno a loro c’è un medico avvinazzato uscito da I rinoceronti di Ionesco e dei pompieri dalle improbabili certezze ossessionati dalle scartoffie nell’incapacità di arginare l’inquietante fenomeno.

Se può apparire azzardata l’aggiunta di una vaga similitudine all’Omobono e gli incendiari, certamente lo stile de L’epidemia si avvicina alla penna di Frisch con il suo graffio al potere politico e istituzionale.

L’efficace bravura di Francesca Mazza (il dottore) è spalleggiata da Margherita Saltamacchia (la giovane donna) e dalle interpretazioni spesso acerbe di Gabriele Ciavarra (il salvatore) e Rocco Schira con pupazzo (i pompieri). Curiosa la scelta musicale da spot televisivo anni 70. Applausi per tutti.