La civiltà di Fawcett

Gray, da New York alla giungla
/ 28.08.2017
di Fabio Fumagalli

***(*) Civiltà perduta (The Lost City of Z), di James Gray, con Robert Pattinson, Sienna Miller, Charlie Hunnan (Stati Uniti 2016)

Un cineasta si colloca fra i grandi perché, lungi dal tradire le proprie preoccupazioni, riesce ad esprimerle in un modo sempre diverso e innovativo. Un itinerario, a prima vista estetico, che lo conduce a un approfondimento artistico, ma pure psicologico e morale.

Autore ai vertici del cinema americano contemporaneo, James Gray ha colpito dapprima per la dura e spettacolare successione di tre splendidi polizieschi, Little Odessa (1994), The Yards (2000) e We Own the Night (2007). Ma, già con il quasi esilarante Two Lovers (2008), e definitivamente grazie al dolente The Immigrant (C’era una volta a New York), (2013) si è compreso quanto quelle etichette gli andassero strette. Quali fossero, assai più dei virtuosismi eccitanti nella rappresentazione della violenza fisica, altri aspetti marcanti della sua opera: le problematiche rivolte all’interno dei personaggi, il confronto fra l’individuo e la società, l’ambiguità degli affetti, i conflitti nel nucleo familiare.

Ecco perché, prima di ogni altra cosa, Civiltà perduta sorprende per il coraggio di rimettersi in questione da parte di un artista tanto affermato.

La vicenda, storica, è quella di Percival Harrison Fawcett, uno dei grandi esploratori del ventesimo secolo. Che accetta l’incarico della Royal Geographical Society di partire in Amazzonia per cartografare le frontiere allora inesplorate fra il Brasile e la Bolivia. Spinto non più di tanto dalle ambizioni e illusioni di un’epoca, una cultura e una classe sociae, ma, per la frustrazione di una carriera militare mancata; a causa di una discendenza ritenuta non all’altezza delle esigenze vittoriane ed edoardiane.

Abbandonati moglie e figli, quasi in una sorta di crescente distacco, Fawcett affronterà ben otto volte quel viaggio così rischioso. Solo in parte sedotto dai misteri infidi dell’ignoto, dalla vertigine nella giungla inesplorata con i suoi «selvaggi» da civilizzare, il fiume da risalire nel delirio di raggiungere le sorgenti del Mito. Ma ossessionato da un’idea fissa: quella di aver scoperto, oltre la giungla, una civiltà scomparsa, la città di Z del titolo originale.

Allontanandosi per la prima volta dalla New York dei suoi capolavori, James Gray segue così nel suo film un delirante andirivieni: poiché The Lost City of Z non è, contrariamente a quanto possa apparire a prima vista, Aguirre di Werner Herzog, o Apocalypse Now di Francis Coppola. Piuttosto, una riflessione in immagini di come si possa evolvere dalla fisicità della materia, per evolvere nella spiritualità della ragione e del sogno.