La carica emotiva dei bei tempi andati

In un disco di gran classe, Gillian Welch e David Rawlings tornano agli amori di sempre
/ 28.03.2022
di Benedicta Froehlich

Da quasi trent’anni, Gillian Welch e il compagno David Rawlings sono tra gli esponenti più validi e apprezzati del rarefatto universo folk-rock d’oltreoceano – un mondo che, oggi solo apparentemente anacronistico, rappresenta in realtà la vera, più autentica eredità culturale che gli Stati Uniti abbiano mai donato al resto del globo: un microcosmo ancora fortemente legato agli essenziali e scarni arrangiamenti tipici della cosiddetta musica «roots» della tradizione a stelle e strisce, fonte preziosissima alla quale innumerevoli artisti si sono abbeverati. Nel corso degli anni Gillian e David hanno davvero fatto tesoro della preziosa lezione di mostri sacri quali Pete Seeger e la Carter Family, e dato vita a un repertorio irresistibilmente demodé, in cui l’intensità dell’interpretazione dona un valore aggiunto a liriche ispirate all’immaginario tradizionale delle radici, per essere ulteriormente impreziosita dalle armonie vocali della coppia e dagli assoli di banjo della Welch.

Dopo un periodo difficile segnato dal biennio pandemico, dal tornado che, nella primavera del 2020, devastò Nashville allagando lo studio di registrazione personale della coppia e la cancellazione delle tournée dal vivo, il duo è ora uscito con un nuovo album All The Good Times (Are Past & Gone), approssimativamente traducibile come «i bei tempi sono ormai una cosa del passato», titolo di un brano chiave del repertorio roots. I due si sono dedicati all’incisione di sole cover fornendo così l’occasione di rivisitare alcuni pezzi molto cari alla loro formazione personale e artistica.

All the Good Times è un album toccante e struggente, intriso di speranza e vibranti emozioni

La genialità di quest’album si riscontra nella scelta dei brani da reinterpretare – basata non tanto sulla loro popolarità, quanto sulla carica emotiva; lo dimostra una gemma come la ballata Señor, brano anni ’70 a firma di Bob Dylan, certo incluso in virtù della sua forza drammatica, reminiscente dei capolavori della tradizione americana. Ma la Welch e Rawlings si dedicano anche a un altro pezzo di Dylan: Abandoned Love, del decennio successivo, qui presentato in una versione contraddistinta dai delicati arabeschi intessuti dalle due chitarre.

Rimanendo in tema di classici, non stupisce l’inclusione di un duetto quale Jackson, reso immortale negli anni ’60 da Johnny Cash e June Carter. Risultano, tuttavia, più intriganti altri «classici» inclusi nella tracklist di All The Good Times: capisaldi del repertorio folk quali Fly Around My Pretty Little Miss e Poor Ellen Smith, o, ancora, la suggestiva title track dell’album; e soprattutto, Hello In There – pezzo incentrato sulla solitudine a cui la società costringe i propri membri, reso celebre dal compianto John Prine e oggi attuale più che mai. Per non parlare di Oh Babe It Ain’t No Lie, che vede Welch e la Rawlings rivisitare il blues della grande Elizabeth Cotten, riuscendo a rimanere fedeli alla semplicità dell’originale; e del «gran finale» dell’album, la trasognata country ballad di Arlie Duff, Y’All Come.

È chiaro che il rischio maggiore insito in un disco come questo risiedeva proprio nella natura «minimalista» delle incisioni ma è un pericolo mirabilmente aggirato grazie alla raffinatezza e ricercatezza delle armonie vocali intessute dalla coppia, nonché all’eleganza degli assoli di chitarra e banjo. In tal senso, All The Good Times si può definire un successo: un album di volta in volta toccante e struggente, eppure, allo stesso tempo, intriso di speranza e vibranti ambizioni, che riesce nell’impresa di attualizzare brani datati senza, tuttavia, tradirne lo spirito – proprio secondo le antiche, tacite regole del miglior folk d’annata.