Le creature sfavillanti e fieramente mostruose del Bois de la Bâtie sono finalmente uscite da un letargo forzato che le ha costrette per un anno al semi confinamento. Uno scombussolamento necessario che non ha però intaccato la loro natura profonda: chiassosa, inclusiva e intrinsecamente controcorrente. Rinvigorite anziché annientate, le creature fantastiche invitate a partecipare all’edizione 2021 del festival La Bâtie ci ricordano che nelle viscere del famoso bosco sulle alture di Ginevra si nasconde un cuore che batte e pulsa al ritmo delle arti della scena. Come sottolineato dal suo carismatico direttore artistico Claude Ratzé «la scena non vi sarà mai sembrata così vicina al vostro teatro intimo e ai suoi scombussolamenti. Grazie al suo potere non percepirete più “l’altro” come uno sconosciuto».
Un’affermazione potente che ci ricorda quanto la scena, attraverso il teatro ma anche la danza, le arti performative o la musica, possa scatenare nel pubblico emozioni spesso represse, per paura, pudore o mancanza di educazione emotiva. In un moto di riscoperta della magia del quotidiano attraverso l’arte, la programmazione 2021 di La Bâtie spinge il pubblico ad assaporare i piaceri (dimenticati) dello stare insieme, della convivialità e della diversità. A catturare tutte le falene che hanno scelto il festival ginevrino come rifugio nel quale esprimere con gioia la propria sfavillante e multisfaccettata identità ci ha pensato il cabaret du Poudrier, luogo effimero e notturno annidato tra le mura della Maison communale di Plainpalais. Imperdibili sono state la Zurich by Night, capitanata dal dirompente Marc Streit e dalle sue dive Silver Tears, Edwin Ramirez e Valerie Reding o ancora, sempre in una vena techno queer, la Berlin Night con le sempre dirompenti Olympia Bukkakis (& Cheryl), accompagnata da Poppy Cox e ReveRso.
Una delle prime creature che ha avuto il privilegio di accaparrarsi la scena è stata Cherish Menzo, ballerina e coreografa olandese che ha illuminato il Théâtre du Loup grazie alla sua maestosa Jezebel, anti eroina dei tempi moderni che degli stereotipi fa un sol boccone. La Jezebel di Menzo esce da un contesto biblico che l’ha a lungo imprigionata reincarnandosi nel corpo iper-sessuato delle hip hop honey, bambole di carne che hanno abitato molti (troppi) video clip degli anni 90 e 2000. Attraverso lo stravolgimento dei codici propri all’universo dell’hip hop che utilizza spesso (troppo spesso) queste donne oggetto come accessori di una mascolinità totalitaria e frustrata, Menzo ci confronta con i paradossi della nostra società. Con Jezebel la coreografa affronta di petto temi scottanti quali il razzismo e il sessismo decostruendone le regole attraverso la scena.
Nella stessa vena critica e militante, Mamela Nyamza interpella il pubblico ginevrino grazie al suo potente e decisamente destabilizzante Black Privilege. Avvolta da una luce che sembra bruciarne la pelle, eretta su di una scala dorata, la ballerina, coreografa e attivista sudafricana sfida lo sguardo di una società che considera la differenza come una tara. «Black privilege doesn’t exist» afferma Mamela ricordandoci che Beyoncé e compagne rappresentano l’eccezione e non certo la regola. Impossibile infatti parlare di economia, politica o libertà nera in un mondo dominato da un passato coloniale che inghiotte tutto con inquietante ingordigia.
Con Black Privilege Nyamza mette in scena il suo corpo, il solo e vero privilegio nero, attraverso l’evocazione della sua biografia personale di madre nera lesbica e africana. Ingiustizia, machismo e razzismo sono incarnati attraverso la sua presenza scenica in una sorta di mercato degli schiavi nel quale la vittima si ribella contro i suoi carnefici. Un’opera artisticamente radicale che trasforma gli stereotipi in coltelli affilati.
Ad accompagnare queste due feroci guerriere ritroviamo la performer, regista, autrice e insegnante argentina Marina Otero che con il suo Fuck Me ha letteralmente fatto impazzire il pubblico romando. Fuck Me può essere considerato come una docufiction dal sapore almodovariano nella quale documenti filmici, racconti in prima persona e coreografie iper energiche versione homoerotic si incontrano e scontrano come schegge impazzite. Creata durante una lunga convalescenza, l’ultima fatica di Otero mette in scena, attraverso il corpo di sei ballerini, la sua vita e le difficoltà legate a un’operazione chirurgica che l’hanno privata a lungo della scena.
Appoggiandosi su un’estetica 90s rivendicata, Otero parla di sé senza tabù, con una libertà e un’autoironia rari. Fuck Me mette in scena con coraggio un universo intimo che ribolle malgrado l’immobilità apparente di un corpo che non risponde più ai comandi. Il corpo in quanto arma rivoluzionaria contro l’oppressione è anche al centro della coreografia: any attempt will end in crushed bodies and shattered bones del giovane prodigio della danza belga Jan Martens/GRIP, creata in collaborazione con il collettivo tedesco Dance On Ensemble.
Con la sua ultima fatica, Jan Martens vuole celebrare il corpo danzante, ribelle e indomito. Riferendosi ad una frase pronunciata dal presidente cinese Xi Jinping durante una manifestazione a Hong King nell’ottobre del 2019, any attempt si impone come un atto militante che riunisce su scena ben diciassette interpreti.e.x dai 16 ai 69 anni. Il ritmo che si impossessa dei corpi di questo gruppo eterogeneo è basato sulla dicotomia movimento/immobilità, sorta di mantra con il quale combattere una violenza verbale diventata tristemente banale (non solo ad Hong Kong).
Posseduti e impetuosi sono anche i corpi dei sei interpreti di The Ecstatic di Jeremy Nedd e Impalo Mapantsua, omaggio alla patsula, danza nata negli anni 60 in opposizione all’apartheid, e al praise break, lode danzata e cantata fino alla trance nelle chiese pentecostali degli Stati Uniti. The Ecstatic è un collage coreografato tra presente e futuro, colonialismo e religione, lotta e speranza. Ad accompagnare Nedd e Mapantsua nella loro lotta per imporre la cultura in quanto strumento rivoluzionario ci ha pensato Marcos Marau (La Veronal) con il suo maestoso Sonoma, risposta surrealista alla crisi e ai dubbi emessi l’anno scorso dalle autorità politiche spagnole a proposito dell’utilità della cultura. Miscela di tradizione e modernità, danza, pittura e letteratura, Sonoma è un grido solenne che custodisce nelle sue viscere il mistero dell’arte con la A maiuscola.
La Bâtie 2021 ci ha permesso ancora una volta di trascendere il nostro quotidiano diventando, nel tempo di uno spettacolo, gli eroi.eroine.x del nostro non sempre facile ma eccitante presente.