DAMN. la copertina del disco che è valso il Pulitzer a Lamar


Kendrick e le nuove regole del gioco

Il grande rapper si aggiudica il Pulitzer
/ 23.04.2018
di Simona Sala

Mentre alle nostre latitudini, dopo un recente concerto del trapper italiano Sferaebbasta, si discuteva se fosse il opportuno che i nostri figli ascoltassero musica rap (e per l’occasione si erano scomodati psicologi ed opinionisti), dall’altra parte dell’Oceano la giuria di uno dei premi più prestigiosi del mondo decideva – finalmente – di aprire a un rapper le porte di un olimpo intellettuale per antonomasia. La notizia non ha mancato di suscitare clamore e in pochi istanti ha fatto il giro del mondo: dopo decenni in cui il Pulitzer per la musica, istituito nel 1943, è stato assegnato a mostri sacri come Bob Dylan o Duke Ellington, premiando composizioni legate ai mondi della classica, anche sperimentale e del jazz, quest’anno per la prima volta si è riconosciuta la validità, soprattutto dei contenuti (per quella musicale ci vorrebbe, a nostro avviso un altro premio), di un genere musicale da molti non ancora considerato tale. E questo sebbene il rap, nato nel 1973, abbia fatto da colonna sonora a più di una realtà sociale e politica, arrivando anche ad avere un controverso ruolo di primo piano durante i disordini di L.A.

Come ha dichiarato la giuria del Premio Pulitzer, al giovane e minuto Kendrick Lamar (classe 1987!) spesso associato al movimento per le minoranze afroamericane blacklivesmatter), con l’album Damn (uscito nell’aprile del 2017, v. «Azione» dell’8 maggio 2017) è riuscita «una virtuosa collezione di canzoni accomunate da un linguaggio autentico e da un dinamismo ritmico che offre istantanee toccanti, capaci di rendere la complessità dell’attuale vita degli afroamericani». K.Dot, come viene comunemente chiamato, poiché di cognome fa Duckworth, si discosta dai colleghi rapper e trapper alla stessa stregua di Eminem (per il quale Seamus Heaney qualche anno fa aveva proposto il Nobel) anche se per motivi diversi. Pur apparendo in molti featuring, Lamar è lontano dai social, dagli eventi mondani, dalle collane d’oro e da donne troppo vistose, preferendo di gran lunga concentrarsi su una ricerca continua che lo vede sondare i difficili territori del funk, del jazz e del soul, senza per questo abbandonare le sue radici rap.

Prima del Pulitzer, della grandezza di K.Dot avevano parlato anche David Bowie e Barack Obama, indicandolo come un artista di riferimento che nei suoi testi, in cui si mescolano concetti come preghiera e umiltà, ma anche riflessioni intime con i suoi, i nigga, parla in realtà a tutti noi, trascinandoci in un vortice ritmico dalla potenza indiscussa. Forse è difficile da accettare, ma con tutta probabilità siamo di fronte al vero cantautorato (e di valore) del nuovo millennio.