Kendrick canta il futuro

Dopo una pausa di cinque anni il rapper di Comtpon, Premio Pulitzer nel 2017, torna con un doppio album
/ 23.05.2022
di Simona Sala

Un verso di N95, la seconda traccia del nuovo album di Kendrick Lamar, uscito lo scorso 13 maggio, riassume solo una delle cause care al rapper di Compton: «The black and the white, the wrong and the right» (il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato, ndt). Fra i paladini di Black Lives Matter, K-Dot infatti non poteva fermarsi a una sola issue. E ben lo raccontano le 18 tracce di Mr. Morale & The Big Steppers, fra gli album più attesi dell’anno e meglio accolti dalla critica (come sempre, d’altronde), ma anche con le maggiori aspettative e il minor investimento promozionale immaginabile. I profili social di Lamar, infatti, sono stati fermi per mesi, e lui si è limitato a qualche singolo o featuring, conducendo una vita come sempre distante anni luce dai riflettori (in netto contrasto con tutta la scena rap e trap, che dei riflettori e di tutto ciò che risplende e luccica ha fatto la propria ragione di vita), quasi circondato da un alone di mistero.

La pressione derivante dall’essere ormai oltre il mainstream di trap e rap – ancorati a temi e linguaggi triti e ritriti, in qualunque lingua si esprimano – è dichiarata all’inizio di United in Grief (Uniti nel dolore): «I been going through something / 1855 days» (Ho attraversato qualcosa / 1855 giorni), che sono poi il tempo che si è preso per mettere su famiglia e scendere a patti con la condizione di afroamericano. Ne risulta, in un’ora di musica, un vibrante e ipnotico miscuglio di jazz, funk, gospel, pezzi recitati (come We Cry Together) e basi Anni 90 che ricordano un certo 2Pac, ma sempre sulla linea di un rap teso, contraddistinto da un flow vertiginoso e inconfondibile.

Come è stato detto nella trasmissione Rap Life Review (YouTube), questo album va ascoltato «lontano dalla società», là, dove con tutta probabilità è nato. Non può e non deve fare da sottofondo, né per i suoi contenuti, né per la struttura formale, poiché va sviscerato e interpretato, alla scoperta di un discorso in musica complesso e doloroso. E Lamar lo fa partendo dalla propria storia, che affonda le radici in vicende famigliari di abusi (quello subito da sua madre), di queerness (come in Auntie Diaries), di salute mentale e di relazioni sentimentali tossiche. Ma si parla anche della pressione derivante proprio dal fatto di essere così bravo e unanimemente rispettato, come in Savior, dove dichiara che sì, Kendrick fa riflettere, ma non è il nostro salvatore. Ed è forse per questo che, sulla copertina, alla corona di spine del Salvatore, è accostata la pistola infilata nei pantaloni, a ricordare le strade da cui tutto partì, appena 34 anni or sono.K-Dot potrà anche non avere salvato nessuno, ma la sua musica, quella sì.