Kaufman, un film che è un viaggio

"I’m Thinking of Ending Things" incanta e stupisce
/ 21.09.2020
di Alessandro Panelli

I’m Thinking of Ending Things (2020)è l’ultima fatica di Charlie Kaufman. Il film è ispirato all’omonimo romanzo di Iain Reid, che Kaufman (Oscar per la migliore sceneggiatura nel 2005 per Eternal Sunshine of the Spotless Mind e sceneggiatore di Being John Malkovich, Anomalisa, Adaptation) ha liberamente adattato per lo schermo.

La nuova opera di Kaufman conferma ulteriormente l’abilità dell’autore nel raccontare una storia innovativa e spiazzante, riuscendo a portare una ventata di aria fresca. Grazie a una profonda e ponderata caratterizzazione del rapporto tra la protagonista femminile e il protagonista maschile, Kaufman ricicla ancora una volta i propri schemi narrativi, quali la rappresentazione di personaggi che faticano ad accettare il proprio status all’interno della società. In questo caso la trama parla di una giovane donna costretta a conoscere i genitori del suo ragazzo quando è sul punto di lasciarlo.

Nonostante ci siano tutte le carte in regola per il classico film dall’impronta «Kaufmaniana» l’opera si trasforma vertiginosamente col passare dei minuti implementando uno stile che strizza l’occhio al surrealismo di David Lynch. Quest’ultimo lavoro dello sceneggiatore newyorkese è in grado di proporre una storia geniale, astratta, sconvolgente e dalle mille citazioni artistiche. Laddove si crede che verso la conclusione ci sarà una spiegazione di quanto visto, inizia invece una serie di sequenze oniriche, simbolistiche, metaforiche e criptiche che lascerà lo spettatore a dover ricostruire da solo i pezzi del puzzle.

Ma il vero punto di forza di questo film non risiede nell’accurato utilizzo della grammatica che caratterizza il cinema classico, ma piuttosto nel saperla sfruttare a proprio piacimento per cambiarla e conseguentemente introdurre nuove dinamiche narrative originali ed efficaci. Lo spettatore percepisce quando una scena risulta più lunga dello standard previsto dalla legge dei codici classici. Le frequenti ellissi temporali fatte attraverso jumpcuts destabilizzanti riescono a creare un’unica e appagante atmosfera horror.

Tutte queste scelte tecnico-stilistiche provocano una confusione e un’eversione nello spettatore che lo porterà più volte a riflettere sulle tematiche affrontate. Tra le molte, la più rilevante è la natura pessimistica della vecchiaia, rappresentata su due piste narrative differenti in un montaggio alternato che sfocia nella riflessione per cui la vita non è altro che un momento stazionario.

Quest’ultimo è rappresentato da un vento gelido che anno dopo anno, sofferenza dopo sofferenza, arriva a una conclusione amara, incompiuta, alla quale tutti noi siamo destinati.