È probabile che, per la maggior parte degli appassionati di musica residenti in terra elvetica, il nome di Kate Nash non rivesta particolare significato; eppure, al tempo dei suoi primi grandi successi, nel 2007, la giovane londinese (allora appena ventenne), era stata effettivamente salutata dal pubblico e dalla critica inglesi come il nuovo fenomeno della scena pop nazionale, tanto da ricevere un ambito Brit Award come migliore artista femminile del 2008. In seguito, la personalità forte e indipendente della Nash si è scontrata, come da copione, con gli oscuri e spesso squallidi meccanismi dell’industria musicale, che hanno portato la sua casa discografica ad abbandonarla da un giorno all’altro (e via sms, nientemeno).
Ma l’artista, il cui animo combattivo ed emancipato è ben noto ai media, non si è persa d’animo: reinventatasi come attrice televisiva, è presto riuscita, tramite il crowdfunding, ad autoprodurre il suo quarto lavoro, Yesterday Was Forever, il quale la conferma una volta di più come reginetta del cosiddetto «indie pop» made in UK – oltre che un’erede di quella branca della musica al femminile definita dai critici come «riot grrrl», tipica delle cantanti «arrabbiate» e intransigenti, la cui arte, come nel caso di Kate, trabocca di agguerriti aneliti al femminismo.
E del resto, fin dagli esordi, ogni particolare della musica firmata dalla Nash – a partire dal suo marcato accento londinese, fino alla struttura più che tradizionale della forma canzone e agli irresistibili ritornelli orecchiabili – è sempre stato pervaso dal più puro gusto britannico, al punto che anche questo nuovo disco potrebbe definirsi come la quintessenza del pop radiofonico anglosassone; e tuttavia, la peculiare forma di ironia prediletta dalla performer, riflessa dai semi-demenziali e sempre arguti videoclip e dalle liriche quantomeno sarcastiche, resta invece profondamente personale, tanto da costituire una vera boccata d’aria fresca.
Lo dimostra anche l’ultimo tra i singoli estratti da quest’album, l’irresistibile Life in Pink: un evidente omaggio al garage rock anni ’90, le cui liriche agrodolci riescono nella difficile impresa di affrontare in modo scanzonato un tema delicato come quello della malattia mentale. E seppur con minor efficacia, Kate tenta di trasmettere il medesimo spirito anche in brani agrodolci e sprezzanti come Hate You e Drink About You, che beneficiano perfino di qualche inserto elettronico a enfatizzarne il carattere rabbiosamente ironico. Eppure, ci sono momenti, nella tracklist di Yesterday Was Forever, in cui la miscela finisce purtroppo per apparire in qualche modo risaputa e, infine, monotona: è il caso di exploit quali Karaoke Kiss e Body Heat – le cui sonorità elettropop non bastano a nascondere una linea melodica francamente ritrita – o di Call Me e Take Away, troppo simili a jingle pubblicitari per riuscire a coinvolgere davvero l’ascoltatore.
Le cose, tuttavia, cambiano radicalmente quando la Nash sceglie di rischiare, avventurandosi in terreni meno noti e sicuri: ne è esempio un pezzo sorprendente come Musical Theatre, sorta di ipnotico recitativo (quasi una versione britannica di un inciso rap) che la vede immergersi nei panni di una vera storyteller, scandendo con invidiabile abilità liriche graffianti e dai forti accenti drammatici, in grado di dipingere un affresco efficace quanto inquietante dell’alterazione nei processi mentali causata dal disturbo ossessivo-compulsivo. Lo stesso vigore espressivo caratterizza anche brani potenti e destabilizzanti quali California Poppies e Always Shining, in cui la voce di Kate finisce per sfociare in un ruggito da grunge rock d’altri tempi.
E in effetti, ascoltando attentamente i testi di quest’album, si scopre che, al di là dei ritmi scanzonati e accattivanti, la Nash sembra riversare un’ampia dose di sofferenza in molti dei pezzi presenti nella tracklist, spesso occultando il palpabile disagio emotivo espresso dalle liriche tramite melodie solo in apparenza spensierate: si veda To the Music I Belong – bruciante ritratto della sofferenza psichica causata dalla fine di un rapporto, che però diviene, per volere di Kate, orgogliosa rivendicazione di come l’arte (nello specifico, la musica) sia l’unica compagna davvero fidata della propria vita, su cui poter sempre contare e da cui dipendere.
Il che spinge a una duplice considerazione: se, da un lato, resta infatti difficile reprimere un certo disappunto nel notare come lo spirito vigoroso e battagliero della Nash venga riflesso solo in parte nelle sue incisioni, è pur vero che alcuni sprazzi creativi presenti in Yesterday Was Forever paiono smentire tale impressione. Così, sebbene sia lecito, in fondo, aspettarsi che Kate infonda maggiore grinta nella sua musica questo CD sembra promettere bene per il futuro di un’artista che ha tutto il tempo per maturare ed evolversi, nonché l’intelligenza per riuscirci.