Junior Cally e l’assenza dell’arte

Il «cantante» rappresenta la fine dell’era del patriarcato
/ 03.02.2020
di Paolo Sortino

Magari vivessimo in un mondo sempre più complesso. Soffochiamo invece in una rapida involuzione animica eppure anche nella morte certa cerchiamo conferme. L’ultima arriva dalla peggiore discografia di sempre i cui arcani maggiori sono Misoginia, Violenza, Bruttezza. I minori sono il festival di Sanremo, Amadeus e Junior Cally, uno di quei «little poets trying to sound like Charlie Manson», come li ha chiamati Leonard Cohen nel profetico The Future che è il nostro presente.

Dispongo le carte sul tavolo per una visione d’insieme ma ne manca sempre qualcuna. Senza, ogni gesto della politica si trasforma in una mano truccata: la prima è il Patto sociale. Che senso ha leggere la realtà, dibattere se poi non ci assegniamo un compito, un’azione comune per la crescita nostra e dei nostri figli? Chi ne ha, sa che arginare le degenerazioni del pensiero è sempre più difficile. Quelle che butti fuori dalla porta rientrano dalla finestra e si è soli in questo perché improvvisamente i nostri ragazzi hanno smesso di essere figli della collettività. Non resta che parlare con loro, affrontare insieme ogni questione e la sera ti addormenti domandandoti se sia sufficiente. E mentre ti rigiri nel letto senti qualcuno osare dire che quella di Cally è arte, e in quanto tale non deve essere censurata.

Per essere arte deve possedere i tre principi inalienabili: il bello, il buono e il giusto. Mancano tutti. Quanto alla censura, l’unica forma che concepisco è quella autoindotta, che un artista conosce e applica, ma abbiamo appurato che di arte non c’è neppure l’ombra e dunque cacciarlo a calci nel sedere sarebbe solo un gesto di buon gusto. Poi senti un altro dire che però farlo sarebbe da moralisti. Ma credere che la morale cambi coi tempi e a seconda delle aree geografiche è un alibi che serve a diversificare i prodotti dell’industria, oggetti di consumo. La morale è la legge naturale e immutabile che regge tutti gli esseri intelligenti e liberi. È la coscienza scientificamente applicata che ci fa apprendere i nostri doveri e l’uso ragionevole dei nostri diritti.

E con questo passiamo direttamente agli altri arcani mancanti. Uno, mai pervenuto, è la coscienza dei direttori artistici; l’altra è la libertà di espressione. C’è infatti anche chi dice che Cally ne ha diritto. Ma la libertà è la facoltà di fare o non fare (vedi autocensura), ma affinché avvenga che l’uomo possa completamente godere della libertà è necessario che sparisca ogni influenza tirannica, che sia distrutto ogni vincolo che sottopone un essere umano alle dipendenze di un altro e non, come suggerisce Cally, di uccidere e violentare. Infine il più fantasioso arriva a dire che è un anarchico, ma un anarchico è colui che si dà delle regole prima che gliele diano gli altri.

Insomma, chi è costui? Cally è il corpo morente del patriarcato. Uno degli ultimi esponenti di un sistema di potere che non ha mai saputo pensare quell’alleanza tra uomo e donna a cui siamo destinati e non accetta che questa alleanza, che già esiste nei desideri delle donne che neanche si degnano di guardarlo, possa fare a meno di lui.