Quando si pensa all’innegabile contributo dato dal Ticino all’universo culturale svizzero e mitteleuropeo, non si può fare a meno di notare come, nel corso di quasi duecento anni, «l’innamoramento» istintivo quanto duraturo per il nostro territorio abbia condotto molti tra i più intriganti pensatori e artisti occidentali a eleggere questo cantone a propria patria d’elezione – facendone un autentico luogo dell’anima, nonché, spesso, il depositario del lascito artistico di una vita. Purtroppo, a parte alcune felici eccezioni, molte di queste personalità sono state quasi del tutto dimenticate, specie nel caso di figure particolarmente anticonvenzionali o in anticipo sui tempi; e tra queste si annovera anche la vulcanica (e a tutt’oggi piuttosto misteriosa) danzatrice Berthe Trümpy.
Personaggio sfaccettato e complesso, profondamente legato alla rivoluzione che la scuola del Monte Verità portò nel mondo della danza, la Trümpy (vero nome Berthe Bartholomé-Trumpis) era nata nel 1895 a Zurigo, all’interno di una ricca famiglia glaronese, e, prima di votarsi all’arte, aveva vissuto due esperienze fortemente traumatiche: dappima la morte prematura dell’amato padre (1906), e poi, nel ’15, il grave attacco di peritonite che, per un anno intero, la vide sospesa tra la vita e la morte; una situazione che, tuttavia, la condusse a St.Moritz, dove avrebbe instaurato un’intensa amicizia con il poeta Rainer Maria Rilke, il quale la iniziò alle gioie della letteratura.
Un amore più duraturo era però destinato a impossessarsi dell’anima della giovane: si trattava della danza. Infatti, nonostante gli inizi tardivi, sarebbe presto divenuta assistente della geniale Mary Wigman, frequentando la Scuola d’Arte del Monte Verità diretta dal suo insegnante Rudolf von Laban; e proprio insieme alla Wigman, dal 1919 in poi Berthe avrebbe vissuto molte delle esperienze professionali più importanti, accompagnandola in tournée sia in Svizzera che all’estero. Non solo: quando, nel 1920, Mary decise di fondare la propria scuola di danza personale, fu proprio la Trümpy a finanziare l’acquisto dell’edificio di Dresda che ne avrebbe ospitato la sede.
Il Mary Wigman-Tanzgruppe avrebbe così costituito per Berthe l’ambiente ideale in cui esprimere il proprio talento, per poi divenire lei stessa coreografa e solista – soprattutto dopo la morte improvvisa della carismatica Vera Skoronel (pioniera della danza astratta), con cui per anni diresse la Trümpy-Schule, fondata a Berlino nel 1924 e destinata a chiudere i battenti nel 1938, dopo una fusione con le scuole presiedute dalle colleghe Wigman e Palucca. Ciononostante, a tutt’oggi l’attività di istruttrice costituisce il lascito più significativo di Berthe Trümpy al mondo della danza; ella seppe infatti affiancare all’evidente talento per l’insegnamento anche un’attenta ricerca pedagogica e lo sviluppo di un innovativo metodo personale, nonché un profondo interesse per l’educazione fisica (prima di lasciare la Germania, fu anche docente presso la Deutsche Hochschule für Leibesübungen di Berlino).
Nel frattempo, però, il debito nei confronti delle comunità artistiche elvetiche rimaneva il «filo rosso» nella vita dell’artista: e dopo un biennio trascorso in Italia, nel ’41 Berthe decise infine di fare ritorno in patria, dove si sarebbe occupata anche di fisioterapia. Pochi anni dopo, proprio in Svizzera avrebbe avuto inizio la fase più inaspettata del percorso personale della Trümpy, incarnata dalla persona del lontano parente Roberto Streiff, giovane intellettuale di buona famiglia a cui lei si riavvicinò durante un’escursione in montagna – quando, nel ruolo di soccorritrice alpina, lo salvò da morte certa, per poi assisterlo amorevolmente nella lunga convalescenza seguita alla caduta.
Oggi, per l’aspirante biografo è difficile ricostruire gli intimi e reconditi motivi che spinsero la danzatrice a decidere di adottare un uomo già adulto, così da prendersi cura di lui; e poiché le leggi del canton Glarona precludevano la possibilità di un’adozione ufficiale per Roberto, nel 1953 la Trümpy decise di trasferirsi in Ticino, facendo così, in un certo senso, «ritorno a casa» – ovvero, alle atmosfere incantate e soffuse già conosciute nel corso delle lunghe estati al Monte Verità, da sempre fonte di grande ispirazione per sé e per la Wigman.
Tuttavia, l’elemento più sorprendente dell’esperienza di Berthe in Ticino risiede nella decisione di abbandonare completamente il mondo della danza per tentare insieme a Roberto (ormai divenuto Roberto Streiff-Trümpy) la strada della viticoltura e della ristorazione, scegliendo di stabilirsi definitivamente nel piccolo comune di Brione, a pochi passi da Minusio. Lì, i due avrebbero iniziato una nuova vita come produttori di Merlot e gestori del ristorante «Los Gatos/Due Gatti», che offriva al pubblico una sofisticata combinazione tra cucina locale e sapori spagnoli, e la cui eccellenza avrebbe attratto ospiti internazionali del calibro di Robert Neumann e dell’Aga Khan. A Brione, Berthe e Roberto acquistarono inoltre la splendida Casa Laurò (oggi parte della Residenza Castello Rocca), antica villa vista lago con tanto di giardino botanico popolato da statue, nel quale avrebbero trascorso anni di grande pace e serenità.
Purtroppo, quest’idillio bucolico sarebbe stato di colpo interrotto nel 1979, quando una caduta dal balcone di casa minò irrimediabilmente la salute di Berthe, obbligandola a trasferirsi in una clinica di Orselina, dove sarebbe spirata nel 1983. Tuttavia, il suo amato figlioccio avrebbe continuato a occupare Casa Laurò fino alla propria morte, nel 2007, e c’è da supporre che tale presenza abbia costituito un elemento quantomeno esotico all’interno del panorama locale; motivo di più per cui oggi, al pensiero che la vita di Berthe Trümpy si sia perlopiù perduta nelle nebbie del tempo, una delle maggiori consolazioni risiede proprio nel nascosto e soffuso (e, anche per questo, inestimabile) ricordo che di lei il Ticino ancora custodisce.
Istinto e passione
Il talento dimenticato dell’eccentrica Berthe Trümpy e la sua passione per la terra ticinese (e la coltivazione del Merlot)
/ 03.08.2020
di Benedicta Froelich
di Benedicta Froelich