Dove e quando
Per i diritti delle donne, Lugano, Longlake Festival, Boschetto Parco Ciani, ore 18.00.
Per info: longlake.ch


Iris von Roten la visionaria

A colloquio con Hortensia von Roten, la cui madre Iris nel 1958 scrisse uno dei primi manifesti femministi creando grande scandalo e finendo nel dimenticatoio
/ 13.09.2021
di Natascha Fioretti

Quante cose oggi sarebbero diverse se il manifesto femminista di Iris von Roten Frauen im Laufgitter pubblicato per la prima volta nel 1958 avesse ricevuto le giuste attenzioni e acclamazioni. Se fosse stato subito tradotto in inglese, francese e italiano. Se il mondo politico e la società civile si fossero confrontati con le sue analisi e le sue proposte. Se, almeno, fosse stato capito. Sicuramente non avremmo avuto bisogno del movimento #MeToo per denunciare le ingiustizie e le molestie sul lavoro e oggi la parità tra uomini e donne sarebbe ampiamente raggiunta, per lo meno in Svizzera. Invece l’opera di Iris von Roten è stata dapprima messa ferocemente alla gogna e in un secondo momento nascosta sotto un tappeto perché tutti dimenticassero alla svelta.

A 50 anni dal voto alle donne la sua figura rivoluzionaria e innovatrice viene riportata in auge insieme al suo manifesto che proprio in questi giorni è uscito in francese per le Editions Antipodes con il titolo Femmes sous surveillance.

Giurista, giornalista e intellettuale, Iris von Roten non solo evidenziò le discriminazioni professionali, giuridiche e politiche ma fu audace e controcorrente nel definire la maternità un fardello senza dignità e le faccende domestiche un giogo per le donne. Rivendicò l’amore libero e l’autodeterminazione sessuale in un cantone conservatore e cattolico come quello vallesano e in un paese che per altri 13 anni avrebbe negato alle donne il diritto di voto. L’11 settembre del 1990 si tolse la vita.

Per conoscerla più da vicino abbiamo fatto qualche domanda alla figlia Hortensia von Roten, storica e numismatica, che domani 14 settembre alle 18.00 sarà ospite dell’evento «Per i diritti delle donne: la vita, l’amore e le lotte di Iris e Peter von Roten». Con lei al Boschetto Ciani ci sarà anche lo storico Wilfried Meichtry.

Wilfried Meichtry nella sua biografia Verliebte Feinde (2012) mette a fuoco con grande intensità e dovizia di particolari la straordinaria storia d’amore tra Iris e Peter von Roten. Tra le principali fonti a cui attinge ci sono le loro lettere che lei ha messo a disposizione. Come reagì quando Meichtry le raccontò del progetto?
Questo è il punto, Meichtry non mi ha mai detto del suo progetto. In realtà ho avuto modo di conoscerlo grazie al suo primo romanzo su una famiglia patrizia vallesana simile alla nostra. Andai alla presentazione del libro e ne rimasi affascinata per il semplice fatto che chi ambisce a fare carriera non si mette a scrivere una biografia su una famiglia patrizia cattolica. Da storica mi incuriosì la sua scelta.

In quest’occasione il giovane Meichtry venne da me dicendomi di essere un grande ammiratore di mio padre, Peter von Roten. Uomo politico e giornalista, per mezzo secolo tenne una rubrica sul «Walliser Bote», fu consigliere vallesano nazionale per il PPD e contemporaneamente si espose a favore dell’aborto e contro il militare. Il giovane Meichtry attratto da questa combinazione mi disse di voler scrivere di lui. Gli chiesi se conosceva mia madre. «Mai sentita», mi rispose.

Uno storico attraverso le sue ricerche riesce talvolta a scoprire cose inedite, è un arricchimento per chi è coinvolto in prima persona?
Molte delle cose che ha scoperto mi affascinano ancora adesso. Ad esempio il racconto del poeta vallesano Maurice Chappaz, intimo amico di Iris e Peter. Quando Meichtry lo intervistò gli disse di una passeggiata che fece con Iris in una meravigliosa giornata di sole. Donna incredibilmente brillante, energica e bella, così la descrisse, a un certo punto si volse indietro e gli disse che tra i 65 e i 75 anni bisognava poter porre fine alla propria vita.

Capisce, io sono cresciuta con questa idea, mia madre l’ha sempre sostenuta, ma dopo la sua morte, quando tutti mi chiedevano se non era stata un’esperienza terribile, non era facile spiegare che quello del suicidio in casa mia era da sempre stato un tema affrontato senza tragedia. Bisogna poter decidere della propria vita, avere questa libertà, diceva mia madre. Molte persone non lo capivano, pensavano che la nostra famiglia fosse travolta dal senso di colpa per ciò che era accaduto. È stata una rivelazione sentire Maurice Chappaz rievocare questa parole pronunciate da mia madre a 29 anni.

Frauen im Laufgitter uscì che lei era ancora una bambina. Si è sentita orgogliosa di sua madre quando lo ha letto per la prima volta?
Ero già una donna adulta e conoscevo ogni parola di quel libro, anche i toni erano i medesimi che ero solita ascoltare in casa ogni giorno. Ho ammirato mia madre nelle lettere d’amore scorgendone l’intensità dei discorsi, scoprendo come queste due persone avessero così tanta voglia l’una dell’altra, provassero una così forte attrazione sessuale.

Ho ammirato la capacità di mia madre di confrontarsi costantemente con i temi più difficili, non temeva mai il confronto anche se sapeva che dall’altra parte non avrebbe trovato consenso. Quale fortuna ebbe nell’incontrare mio padre, uomo dalla stessa caratura intellettuale, anche lui abile scrittore ma di animo così differente. Peter von Roten era uno spirito libero e riusciva a riunire molte cose sotto lo stesso cappello, mentre mia madre vedeva tutto in una linea retta. Eppure per tutta la loro vita il coraggio e la voglia di stare insieme non sono mai venuti meno.

Iris von Roten scandalizzò l’opinione pubblica per la sua idea di maternità. Sosteneva che il modello classico del ruolo materno non rappresentasse un modello di vita soddisfacente. Quando lei aveva pochi mesi, per riprendersi dagli strapazzi del parto, partì per alcune settimane in Spagna e in Italia. Lei fu affidata a un orfanotrofio per neonati. Guardando indietro cosa ne pensa?
Avevo sei settimane di vita. Bisogna immaginarsi che in un istituto del genere ci sono puericultrici altamente qualificate, molto più esperte di una madre quarantenne alle prime armi. Quando mi portarono a casa c’erano due bambinaie meravigliose ad attendermi alle quali mi affezionai molto.

Nel 1993, dopo la nascita di sua figlia, iniziò a lavorare a tempo pieno come curatrice della collezione di monete e sigilli del Museo nazionale svizzero di Zurigo. Come mai questa scelta?
Un anno prima di rimanere incinta lavoravo a metà tempo e si aprì la possibilità di incrementare questa posizione al 100%. Mi candidai e la selezione andò per le lunghe. Ero quasi al termine della gravidanza quando mi comunicarono che il posto era mio. Si trattava di un’opportunità unica e accettai prendendomi i mesi di maternità che mi spettavano. Una scelta che non ho mai rimpianto.

Cercai subito un asilo nido e contai sull’aiuto del mio compagno che ci sapeva fare con i bambini e adorava stare con loro. A casa ci dividevamo i compiti, la sera se uno di noi due aveva un impegno, l’altro stava con la bambina. Se si vuole fare carriera si dà priorità alla professione.

Oggi per i 50 anni di voto alle donne si torna a parlare di Iris von Roten e del suo manifesto femminista, ma in tutti questi anni entrambi sono passati nel dimenticatoio. Perché?
Lasciandomi i diritti del suo libro mia madre mi ha investita di una grossa responsabilità. Ho sempre pensato che se non avessi fatto la cosa giusta di notte mi sarebbe apparsa in sogno. La verità è che il libro è stato messo a tacere. Diverso tempo fa mi sono imbattuta nella bibliografia di una dissertazione del 1960 sulla letteratura femminista svizzera in cui veniva citato ogni più insignificante testo apparso sul tema in improbabili riviste. Solo Frauen im Laufgitter mancava all’appello. Ma questo era lo spirito del tempo.

Il libro venne fatto a pezzi e tacciato di pornografia, non ci fu un vero dibattito sulla sostanza dei contenuti. Si costruirono dei pettegolezzi per poi apostrofarlo come un testo indecente. Poi arrivarono le giovani femministe di sinistra che non vollero avere nulla a che fare con la borghese Iris von Roten. Poco è cambiato se guardiamo Alice Schwarzer, icona del femminismo tedesco, che per altro ammiro molto. Non ha voluto condividere la notorietà con chi prima di lei ha scritto la prima opera esaustiva sulla condizione femminile. Eppure mia madre nel suo libro si occupa di tutte le donne, dalla viziata donna altoborghese alla donna delle pulizie. Al di là delle sue idee, era proprio la figura della giurista Iris von Roten a dare fastidio. I suoi modi diretti non piacevano.

Mia madre era un’individualista con un grosso ego che metteva sul piatto le sue rivendicazioni dicendo «io voglio ciò che mi spetta di diritto» e non giocava a fare la vittima. Anche per questo risultava scomoda.