In trenta nel bunker ucraino

Alla Pergola di Firenze uno spettacolo ci porta dentro la guerra
/ 27.03.2023
di Sabrina Faller

Il taxista che è venuto a prendermi davanti al portone chiuso del teatro mi chiede, incuriosito e timido al tempo stesso, che cosa hanno dato alla Pergola stasera. In teatro nulla, gli rispondo. Lo spettacolo si è svolto nei sotterranei del teatro, in quello che era uno dei tanti rifugi a Firenze durante la seconda guerra mondiale. Si intitola Bunker Kiev, ha appena debuttato e sarà «in scena» almeno fino a maggio inoltrato (www.teatrodellapergola.com) tanto più che il pubblico ammesso ogni volta è di soli trenta spettatori.

No, non è uno spettacolo elitario, è che in questo bunker ce ne stanno solo trenta. L’autore è Stefano Massini, il primo italiano a vincere un Tony Award (l’Oscar statunitense del teatro) come autore (best play) con la sua Lehman Trilogy, testo meraviglioso dedicato alla saga delle famiglia Lehman, responsabile del disastro finanziario del 2008 che dette il via alla crisi di cui ancora oggi viviamo le conseguenze. Da qualche anno Massini si è scoperto una vena interpretativa che esercita con successo in tv e sulla scena. Non mi aspettavo però di vederlo nel bunker in quelle vesti la sera della «prima», il 6 marzo, perché la sua presenza era stata annunciata a partire da metà marzo circa. E invece è lui, proprio lui, seduto a due passi da noi, stretti in cerchio e pronti a «bere» le sue parole.

Non so quanti fossero i rifugi a Firenze nel 1944, ma a Kiev oggi sono 4984, e lui lo ripete in maniera ossessiva. E che quel buco in cui ci troviamo è fatto solo per trenta persone. Vuole farci sperimentare almeno un miliardesimo di milligrammo di ciò che provano gli abitanti di Kiev quando entrano in un bunker, meno pasciuti, meno idratati, meno ben vestiti, e molto meno tranquilli di noi. Cambiano gli esseri umani a seconda delle circostanze, perché cambiano le priorità. Così comportamenti che nella vita cosiddetta normale ci parrebbero inopportuni, qui sottoterra possono apparire invece accettabili, pacifici. L’attenzione per gli anziani ad esempio è secondaria rispetto alla necessità di mettersi al riparo al più presto. Un riparo che potrebbe trasformarsi velocemente in una tomba. Lo scrutarsi nel semibuio per capire chi sono gli altri e che cosa ci si possa aspettare da loro è fondamentale. L’odore è un altro fattore di cui occorre tener conto e per il quale non esistono difese, anche perché non ci sono toilette nel bunker. Ricordo quanto la nostra guida nei sotterranei di Napoli mettesse in rilievo questo aspetto, mentre ci mostrava come poteva essere la vita nel rifugio durante la guerra: si cucinava il cibo e si defecava a pochi metri di distanza. Ma il nostro è un bunker fatto – almeno in linea di principio – per tempi brevi, nell’attesa però sempre troppo lunga che suonino le sirene del cessato allarme.

Un’ampia parte del monologo, perché di questo si tratta e non abbiatene paura, è dedicata al rapporto con gli altri, i compagni e le compagne di bunker, guardati con sospetto, con l’idea basilare che mors tua, vita mea, con i quali si ritrova un’unione ideale solamente quando il pericolo si fa vicinissimo e concreto, ovvero quando le bombe cominciano a piovere. Lo avevamo quasi dimenticato il fragore delle bombe, ormai abituati alla potenza delle parole, credevamo d’essercene liberati.

E invece eccolo (ri) apparire in tutta la sua ineluttabilità e prepotenza. Hai voglia di cantare, di sentirti tutt’uno con gli altri, e più forte delle bombe che si schiantano poco più in là, più forte del rumore degli aerei che passano. È così che il rimbombo ci coglie all’improvviso, mentre proviamo a scongiurarlo cantando. Non ti resta che sperare, pregare, supplicare che cada davvero un po’ più in là, la bomba, perché in fin dei conti non ci sono obiettivi sensibili sopra il bunker. Ma il nemico, si sa, spara anche dove non dovrebbe.

Alla fine dell’incursione aerea eccoci lì a domandarci se siamo vivi o morti, se sorridiamo da vivi o se siamo morti con il sorriso, come i cadaveri ritrovati sotto le rovine del teatro di Mariupol. E agli ospedali pediatrici di Kiev e Mariupol andrà il ricavato dello spettacolo. Gli effetti sonori, molto suggestivi, sono di Andrea Baggio, mentre il brano musicale che ci accompagna alla fine, è di Piero Pelù. Bunker Kiev è un evento a cui tutti dovrebbero assistere, le scuole specialmente. «Vorrei che la scuola portasse i miei figlioli a teatro, mi dice il taxista, ma non lo fanno mai». «Eh, ci vuole un docente volenteroso, dico io». «No, replica convinto il taxista, non deve essere così. Ci vuole che sia la scuola a farlo. E da noi purtroppo la scuola pubblica è sempre più penalizzata e ci sono sempre meno soldi…».