Per quanto sorprendente possa apparire agli stranieri, la neutrale Svizzera ha spesso dato i natali a personaggi che, pur vivendo al di fuori dei teatri di guerra del momento, si sono appassionati a tal punto a cause e ideologie solo apparentemente lontane da decidere di lasciare ogni cosa per partecipare alle lotte altrui. E il Ticino, da sempre terra «di mezzo» a cavallo tra Svizzera interna e Italia, si presta particolarmente a questo genere di commistioni: come dimostra il caso del fenomenale Antonio Cattaneo (1833-1871), originario di Balerna, che tra il 1859 e il 1867 prese parte come volontario a ben quattro campagne per l’indipendenza d’Italia al seguito di Giuseppe Garibaldi – per poi decidere addirittura di partecipare alla guerra di secessione americana.
Ancora oggi, chi si rechi al santuario di S. Antonio di Balerna può ammirare una singolare lapide commemorativa, che, collocata al di fuori del sagrato, perpetua la memoria di Cattaneo, descritto come «capitano nelle armate svizzera e americana, soldato, tenente, capitano nelle file di Garibaldi (…), valoroso e prode sempre». Ma com’è possibile che oggi quasi nessuno si rammenti di questa figura epocale? Eppure, al tempo della sua morte (ad appena trentott’anni, per un attacco di tisi), il sindaco di Balerna, Edoardo Canova, volle onorare l’ultimo desiderio dell’illustre concittadino – quello di essere sepolto proprio sul colle di S. Antonio, all’ombra di un tiglio – sottolineando come egli non avesse mai vissuto per sé, ma solo «per l’umanità e la libertà».
In effetti, si può dire che Antonio Cattaneo abbia dedicato la vita al servizio militare improntato all’indipendenza e liberazione dei popoli oppressi: e rispolverando quel poco che si sa della sua vita, appare evidente come la sua iniziazione agli ideali libertari affondi le radici nel clima politico che si respirava in un Ticino all’epoca ultraclericale, oppresso dalle rappresaglie che il vicino Regno Lombardo-Veneto imponeva a una regione considerata terreno fertile per esuli e dissidenti (i quali, in quegli anni, beneficiavano delle stamperie libere di Lugano e Capolago per pubblicare pamphlet «sovversivi»).
Di fatto, Cattaneo iniziò la sua carriera garibaldina nel 1859 con la Seconda guerra d’indipendenza italiana, prendendo parte in modo ufficioso (come semplice aggregato) alle battaglie svoltesi nel comasco e nel varesotto, tra cui quelle di San Fermo e di Malnate, combattute al seguito dei Cacciatori delle Alpi, di cui sarebbe divenuto membro nel luglio di quell’anno.
Non solo: Antonio era presente anche allo sbarco a Marsala (1860), i cui protagonisti indiscussi furono gli eroici volontari noti come «i Mille» – seppure il suo nome non risulti nella lista ufficiale dei combattenti, dato che, con ogni probabilità, egli fece parte dei molti che si unirono alla spedizione solo lungo la strada. All’arrivo a Napoli, Cattaneo, promosso sottotenente di fanteria, si trovò però confrontato con la grande delusione che attendeva tutti i volontari garibaldini, congedati senza troppe cerimonie affinché il merito dell’impresa andasse al Re Vittorio Emanuele II e non a un’armata di «irregolari», considerata da Cavour come poco presentabile.
Forse fu proprio quest’umiliazione a convincere Antonio a varcare i confini europei per proseguire la carriera militare negli Stati Uniti, in quegli anni preda della sanguinosa guerra civile: il 1861 lo vide infatti arruolato tra le fila degli unionisti di stanza a Indianapolis, forse anche per via delle voci che volevano Garibaldi intenzionato a prendere parte alla guerra come comandante nordista. Ma i nuovi piani del comandante a cui Cattaneo rimaneva fedelissimo lo convinsero a lasciare in fretta e furia il continente americano per prendere parte alla surreale «Giornata d’Aspromonte» (1862) – impresa che portò a una nuova caduta in disgrazia dell’eroe dei due mondi e dei suoi seguaci.
Il conseguente ritorno a Mendrisio non giovò ad Antonio, il quale, in quanto libertario e anticlericale, divenne preda dei costanti attacchi del parroco Gaetano Pollini; e fu quindi con gioia che, nel 1866, lasciò il retrogrado borgo per seguire nuovamente Garibaldi nella storica invasione del Trentino, celebre per la cruciale vittoria a Bezzecca.
Il valore mostrato sul campo dal Cattaneo spinse lo stesso Garibaldi a scrivere una lettera di raccomandazione per il prode ticinese, il quale, data la precarietà della sua situazione in patria, intendeva ripartire alla volta dell’America; e se la malattia finì invece per costringerlo a una sosta forzata nel Mendrisiotto, non poté comunque impedirgli un’ultima avventura al fianco di Garibaldi: la campagna dell’Agro romano (1867) si concluse però con la disfatta di Mentana, segnando la fine delle avventure militari dell’ormai stanco e provato Antonio – il quale, ritiratosi infine a Mendrisio, si ritrovò scansato da tutti, famigliari compresi, a seguito della scomunica ordinata contro di lui da Pio IX, certo con gran gioia del parroco Pollini.
Forse anche per questo, dopo la morte (e il dono di tutte le proprie sostanze al comune di Balerna), Cattaneo è infine divenuto una tra le tante figure storiche pressoché rimosse dalla memoria collettiva del nostro Cantone – finché, nel 1971, un articolo di Enzo Lombardo sul «Corriere del Ticino» non rivelò al pubblico la storia del «garibaldino svizzero». Nel ’75, lo storico Giuseppe Martinola approfondì la vicenda, rinvenendo anche il Ritratto del garibaldino Antonio Cattaneo a opera dell’artista Antonio Rinaldi di Tremona.
E se la sua lapide appare tuttora negletta anche dai compaesani, oggi, a esattamente 150 anni dalla morte, sarebbe crudele ignorare un anniversario che, come ogni ricorrenza, rappresenta un’ottima occasione per riscoprire una figura particolarmente pittoresca del nostro passato – e per onorare la memoria di un uomo coerente e coraggioso, che scelse di impiegare la propria breve vita al servizio di quegli ideali di libertà e indipendenza da sempre a lui cari.