Ritratto di Dante di Luca Signorelli (1450-1523) (Wikipedia)


In festa nel nome di Dante

A colloquio con Paolo Di Stefano, iniziatore e promotore dell’encomiabile idea di istituire un Dantedì
/ 16.03.2020
di Federica Alziati

Lo scorso 17 gennaio, il Governo italiano ha approvato l’istituzione del Dantedì: ogni 25 marzo (verosimile data di inizio del pellegrinaggio nell’Aldilà) si celebrerà l’autore della Commedia. L’iniziativa è stata suggerita, in una serie di articoli apparsi sul «Corriere della Sera», da Paolo Di Stefano, noto giornalista e scrittore, anche per le pagine di «Azione».

A lui domandiamo come ha maturato l’idea di introdurre nel calendario una Giornata dantesca...
All’inizio, non avevo un’idea precisa dell’esito che la mia proposta avrebbe avuto. Era una specie di provocazione, ispirata da una bellissima iniziativa «globale» del 2017: una catena digitale, chiamata #Dante, che prevedeva la lettura solitaria di un canto della Commedia al giorno e poi la condivisione su Twitter di commenti e opinioni. Partita da Buenos Aires, l’iniziativa ebbe un rimbalzo incredibile: dall’America Latina all’Australia le librerie vennero inondate di richieste del poema. Quella suggestione si aggiunse all’immaginario del Bloomsday, giorno dedicato all’Ulisse di Joyce. Mi dicevo: noi vantiamo uno dei maggiori poeti europei, autore di un capolavoro tradotto ovunque, che da secoli smuove la sensibilità dei lettori comuni e l’interesse dei maggiori scrittori e intellettuali, e non siamo capaci di festeggiarlo tutti insieme come si deve… Mi preoccupava, infine, che nei programmi della scuola italiana Dante cominciasse a essere sacrificato: non più una lettura sistematica e puntuale, ma qualche assaggio dell’Inferno qua e là, senza grande convinzione. Tutto questo mi ha spinto a suggerire l’idea di una Giornata dantesca.

L’iniziativa ha suscitato un vivo desiderio di partecipazione, a livello collettivo e comunitario; non sono mancate, però, reazioni critiche da parte di alcuni accademici, preoccupati che ci si limiti alla celebrazione e alla spettacolarizzazione, senza uno sforzo duraturo di comprensione.
Non condivido le critiche. Il pericolo di leggere Dante secondo canoni di antica retorica identitaria oppure in chiave spettacolarizzante e superficiale indubbiamente esiste, tuttavia ciò non esclude che il Dantedì possa rivelarsi una consuetudine utile e piacevole, un’alternativa alla ritualità ristretta dei convegni scientifici. Si tratterà di promuovere letture pubbliche della Commedia in scuole, librerie e piazze, ma anche spettacoli teatrali, reinterpretazioni di poeti contemporanei, mostre, installazioni e suggerimenti di turismo culturale. Una vera e propria festa, con scopi di educazione e di divertimento intelligente, per favorire la condivisione di un’idea più libera di Dante.

Il valore senza tempo di Dante è quanto di più lontano si possa immaginare dall’odierna rincorsa alla notorietà e alla riconoscibilità: crede che le istituzioni eviteranno la tentazione di sfruttare il brand «Dante», per mettere davvero a tema l’autore e la sua opera?
Io mi auguro che le grandi istituzioni partecipino senza intenti «dirigisti», lasciando spazio alle libere iniziative. L’adesione al Dantedì è stata entusiasta da più parti (persone, associazioni, enti, scuole, centri di ricerca, teatri e congregazioni religiose): spero che ciascuno elabori liberamente le proprie idee e se ne prenda la responsabilità. Per esempio, la Fondazione del «Corriere della Sera» ha avviato in gennaio una serie di conferenze divulgative sulla Commedia affidate a esperti dantisti, riscuotendo notevole successo. Sarà vitale soprattutto il lavoro condotto nelle scuole: il Dantedì dovrebbe essere preceduto da momenti preparatori, discussioni e confronti, per promuovere obiettivi didattici creativi.

Immagino che guardi con interesse alle adesioni nella Svizzera di lingua italiana; tanto più che il suo amore per Dante deve molto alla passione e alla competenza di un maestro come Giovanni Orelli…Dalla Svizzera sono arrivate le prime adesioni istituzionali, innanzitutto da parte del presidente del Consiglio nazionale, Marina Carobbio Guscetti, poi da parte delle associazioni che partecipano al Forum per l’italiano in Svizzera. Quanto a Giovanni Orelli, ho sempre visto in lui un promotore di passione letteraria. Era un professore straordinario, che riusciva ad accendere l’entusiasmo degli studenti senza mai semplificare: da lui ho sentito per la prima volta i nomi di Auerbach, Contini, Spitzer… Posso solo augurare agli alunni di incrociare una personalità come la sua: la passione è la prima chiave per riuscire a comunicare qualsiasi esperienza intellettuale. La stessa passione che trasmetteva suo cugino Giorgio Orelli quando parlava della controversia a proposito dell’attribuzione del Fiore, o quando evocava le tessiture sonore dei versi di Dante e Petrarca: irresistibile, persino quando non riuscivi a stargli dietro. Cioè quasi sempre.