Nato a Tokyo nel 1948, Hiroshi Sugimoto, giapponese di nascita e di prima formazione, ma americano d’adozione, è universalmente noto come uno dei maggiori fotografi contemporanei, con esposizioni e presenza nelle collezioni dei più importanti musei al mondo. Poco più di dieci anni fa, al Kunstmuseum di Lucerna, passò proprio una delle più recenti e complete retrospettive, curata dallo stesso artista. E non è tutto: negli anni più recenti si è inoltre occupato di architettura – ideando alcune case del tè in cubi trasparenti, una a Versailles e una all’Isola di San Giorgio a Venezia – e ad altre sculture site-specific.
È assai conosciuto per la profonda e disciplinata impostazione concettuale delle sue serie che si materializzano, tranne che per nuovi esperimenti condotti a colore nell’ultimo decennio, in un raffinatissimo bianco e nero. Le sue serie, siano esse intitolate Theaters e Drive-Ins – dove centrale è lo schermo di un bianco abbacinante in quanto l’obiettivo rimane per tutta la durata del film – o Dioramas, sui Musei di Storia naturale negli Stati Uniti, o ancora ispirate dal Museo delle Cere, sono illuminate in modo così magistrale da far sembrare vere le figure, oltre ad essere tra le immagini più note della scena artistica attuale.
Di tutte queste serie merita un discorso più approfondito la più famosa, Seascapes, poiché si fonda su una composizione rigidissima e una profonda e lunga continuità: la linea dell’orizzonte crea due aree perfettamente distinte, con il cielo in quella superiore e il mare in quella inferiore. Nelle immagini troviamo quindi un perfetto equilibrio tra gli elementi aria e acqua. Come in molti dei lavori di Sugimoto, non vi è traccia umana. Punto di arrivo di una ricerca estetica dell’essenzialità estrema, gli orizzonti marini di Sugimoto raggiungono un ideale di bellezza eliminando ogni elemento superfluo o dettaglio superficiale.
Il mare, con la sua forza attrattiva quasi ancestrale, invita a prendere parte a un viaggio che porta a una visione, spingendo al contempo a una riflessione profonda sulla necessità di catturare anche il più minuscolo moto all’orizzonte, rappresentato di volta in volta nelle singole immagini sotto forma di minime variazioni sul tema: il vento che increspa la superficie del mare, il cielo coperto, la nebbia che nega momentaneamente l’osservazione dell’orizzonte.
Una decina delle vedute marine in questione è esposta ancora per questa settimana alla Fondazione Rolla di Bruzella. Esse provengono da un portfolio dell’autore e sono nate a cavallo degli anni Novanta, quindi nel bel mezzo di una ricerca che ha condotto l’artista giapponese Sugimoto nei quattro angoli della terra tra il 1980 e il 2003, dunque quasi per quasi un quarto di secolo. L’allestimento sobrio con tutta probabilità piacerebbe all’artista, che sembra prediligere – in un’atmosfera orientale – i vuoti ai pieni.
Contemplazione, meditazione e silenzio: virtù sconosciute, potremmo dire, nell’epoca della distrazione continua data dagli attuali media.