Bibliografia

Piero Boitani, In cerca di Amleto, il Mulino, Bologna, 2022.


In cerca dell’inafferrabile Amleto

Teatro – Un saggio di Piero Boitani sull’opera più enigmatica di Shakespeare
/ 01.05.2023
di Giovanni Fattorini

Alla sterminata bibliografia sul teatro di Shakespeare, e in particolare su Amleto e lAmleto (il personaggio e l’opera), si è ultimamente aggiunto un saggio di Piero Boitani (professore emerito di Letterature Comparate all’Università La Sapienza di Roma), che nella prima parte (intitolata In cerca di Amleto con i grandi) ripercorre lucidamente «la straordinaria avventura di Amleto nella cultura europea», e nella seconda (intitolata In cerca di Amleto con l’Amleto) ci mostra «alcune delle contraddizioni più macroscopiche, degli eccessi, dei vicoli ciechi nei quali Shakespeare si caccia senza più uscirne, delle vie laterali che imbocca e dopo poco abbandona».

La sfilata dei «grandi» convocati nel saggio di Boitani (intitolato In cerca di Amleto) si apre con T.S. Eliot e il Canto d’amore di J. Alfred Prufrock («No, io non sono il principe Amleto, né ero destinato ad esserlo […]»), seguito dall’affermazione conclusiva di un saggio del 1920 che all’epoca destò grande scalpore: «Lungi dall’essere il capolavoro di Shakespeare, il dramma è sicuramente un insuccesso artistico». La ragione? «Amleto (uomo) è dominato da un’emozione che è inesprimibile perché in eccesso rispetto ai fatti quali appaiono». In verità, T.S. Eliot non è stato il primo a dubitare dell’assoluta eccellenza dell’Amleto. Secondo Tolstoj, che detestava il teatro di Shakespeare, «non vi è alcuna possibilità di trovare una spiegazione qualsiasi agli atti e ai discorsi di Amleto, e quindi non vi è alcuna possibilità di attribuirgli un carattere qualsiasi». E Samuel Johnson, prima ancora del narratore russo, osservava che la «conduzione del dramma non è forse del tutto al sicuro da obiezioni» (ad esempio: «della finta pazzia di Amleto non si dà causa adeguata»).

Ma ecco farsi avanti un altro «grande». Per bocca di Wilhelm Meister, Goethe ci dice che la trama di Amleto è «una grande azione imposta a un’anima che non è all’altezza». Dopo di lui, August Wilhelm Schlegel afferma che Amleto è «un formidabile enigma», il cui fine generale è «mostrare come la riflessione […] reprime le forze attive dell’anima». Amleto «è la tragedia del pensiero». Con queste parole, scrive Boitani, «Schlegel dettava l’agenda per la critica dell’Amleto dei successivi due secoli». I risultati dell’analisi di Coleridge, ad esempio, «disegnano con nettezza, per la prima volta, l’eroe moderno del pensiero – un eroe squilibrato – e ne vedono le conseguenze sul ritmo del dramma».

La sfilata prosegue con altri eminenti scrittori e pensatori europei: Hegel, Turgenev, Nietzsche, Freud, Pirandello, Valéry, secondo il quale Amleto è un intellettuale che «medita sulla vita e sulla morte delle verità». («Dall’immensa terrazza di Elsinore» scrive Boitani, l’Amleto di Valéry «fissa la “terra desolata” che è diventato il continente, vive un’apocalissi dello spirito»). Poi, preceduti da Dostoevskij, ecco avanzare tre poeti russi: Aleksandr Blok, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, che ci parlano di Amleto attraverso la figura e la voce di Ofelia. E successivamente, Pasternak, Mandel’štam e l’illuminante psicologo Lev Semënovič Vygotskij. Ultimi, ma non meno importanti, Walter Benjamin e Carl Schmitt, per il quale (come già per Hegel) Amleto si differenzia decisamente dal modello di vendicatore rappresentato dall’Oreste eschileo. Nella Conclusione del suo Amleto o Ecuba, scrive Boitani, Schmitt sostiene che «la poesia europea ha creato tre grandi figure simboliche – Don Chisciotte, Amleto, e Faust, che sono poi diventati miti –, esse hanno in comune il loro essere straordinari lettori di libri e quindi degli intellettuali, […] a un certo punto fuorviati, vittime del loro spirito». (Mi permetto di aggiungere che, secondo Auden, Amleto è «un mito per attori»).

Terminata la rassegna di interpretazioni illustri (di cui ho fornito solo un parziale e sommario condensato), i qualificativi più incontestabilmente attribuibili ad Amleto (il personaggio e l’opera di cui è il protagonista) sono quelli che già si trovano all’inizio del saggio di Boitani: inafferrabile e irresistibile. Quanto alla seconda parte del libro (dove Boitani mostra che Amleto non è una tragedia ma «un dramma che tende alla totalità, come sarà il Faust di Goethe»), non è possibile, in quest’ultimo paragrafo, darne riassuntivamente conto. Con «i suoi eccessi e i fili che lascia sospesi», con l’esplorazione delle «vie più diverse: il comico, il romanzesco, l’elegiaco […] e il teatro nel teatro», la Tragedia di Amleto Principe di Danimarca, «lungi dall’essere un “insuccesso artistico”, come voleva Eliot, […] crea un nuovo tipo di dramma moderno: un iperdramma incontenibile che accenna ramificazioni potenziali, narrazioni collaterali, racconti multipli a scatole cinesi». Insomma, è un dramma «inesauribilmente problematico».