Germán e Juana, entrambi sui 55 anni, sono sposati da 30 e non hanno figli. Lui insegna letteratura in un liceo; lei dirige una galleria d’arte contemporanea le cui proprietarie (che l’hanno ereditata) minacciano di licenziarla e di cedere il locale se non dimostrerà entro breve tempo di farla fruttare. È in casa loro che ha inizio Il ragazzo dell’ultimo banco (El chico de la última fila, 2006), un lungo atto unico di Juan Mayorga (Madrid, 1957), sicuramente il più importante drammaturgo della Spagna di oggi.
Germán sta leggendo dei compiti in classe. La pochezza di ciò che gli allievi hanno scritto sul tema da lui proposto («raccontate cosa avete fatto nell’ultimo fine settimana») lo riempie di rabbia e di sconforto. I voti che assegna vanno dallo zero al tre. All’improvviso smette di lamentarsi. Prima in silenzio, poi ad alta voce, perché possa valutarlo anche Juana, legge l’elaborato di uno studente che in aula siede all’ultimo banco: il diciassettenne Claudio García.
Il ragazzo racconta che il sabato precedente è stato in una casa dove da tempo desiderava entrare: quella del compagno di classe Rafael Artola. Come ci è arrivato? Proponendo uno scambio: «Tu aiuti me in filosofia e io te in matematica». Mentre Rafa era occupato a risolvere un problema di trigonometria, con la scusa di cercare una Coca-Cola Claudio ha dato un’occhiata alla casa. Era sul punto di tornare da Rafa quando ha avvertito «l’inconfondibile odore della donna di classe media». Guidato da quell’odore è arrivato al salone, dove, seduta sul sofà, ha incontrato «la signora della casa», intenta a sfogliare una rivista di arredamento. Dopo alcune righe, il racconto di Claudio s’interrompe con la parola (Continua).
Rispettando il divieto di spoiler, io interrompo il riassunto della trama, perché Il ragazzo dell’ultimo banco è un raffinatissimo thriller, in cui la realtà che si rispecchia nelle pagine iniziali del racconto di Claudio viene via via parzialmente orientata (complici il professore e lo studente) allo scopo di poterne ricavare una storia che abbia uno sviluppo coinvolgente e un finale – come dice Germán – «necessario e imprevedibile».
Dei temi presenti nella pièce di Mayorga, ecco quelli che mi sembrano di maggior rilievo. 1) Il ruolo parentale (la madre di Claudio se n’è andata di casa quando lui era ancora piccolo, sicché il ragazzo sembra alla ricerca di figure genitoriali vicarie, e in particolare di una figura materna più che di un’amante). 2) La famiglia medio-borghese benestante e all’apparenza felice (qui rappresentata dagli Artola, che accolgono tra le pareti domestiche un giovane e insidioso osservatore di estrazione sociale modesta). 3) Il rapporto pedagogico tra docente e discente. 4) Le arti visive contemporanee e il legame (che Germán giudica perverso) fra critica e mercato. 5) I procedimenti di elaborazione di un’opera narrativa (Germán è un narratore mancato, crede fermamente nella necessità di una trama, e si considera in parte coautore dello work in progress di Claudio, in cui vede un potenziale realizzatore di ciò che lui non ha saputo realizzare). 6) Il rapporto fra lettore e opera letteraria e le implicazioni morali di quello fra arte e vita. 7) L’artista-narratore come individuo che scruta le vite degli altri per farne matière à style (non è certo un caso che il film di Ozon tratto dalla pièce di Mayorga s’intitoli Dans la maison e che il professore interpretato da Fabrice Luchini insegni presso il liceo Flaubert).
Che leggendo il testo di Mayorga non venga mai meno la suspense, lo si deve in misura determinante a una scrittura drammaturgica di grande asciuttezza e ricca di transizioni spazio-temporali (a tratti molto ravvicinate) che alternano narrazione scritta, narrazione drammatizzata, e dialoghi che fanno parte della cornice scolastica.
La suspense non viene mai meno anche assistendo allo spettacolo firmato da Jacopo Gassman, qui al suo terzo incontro – dopo Animali notturni e La pace perpetua – col teatro dello scrittore madrileno. La fluidità della scrittura drammaturgica si ritrova nell’andamento di una rappresentazione, ammirevole (non disturbano certe suggestioni ronconiane) sia per la scenografia di Guido Buganza (della quale si ricordano in modo particolare il lunghissimo tavolo che divide lo spazio ellissoidale del Teatro Studio e i velari incorniciati che scorrendo in silenzio servono principalmente ad articolare l’interno di casa Artola), sia per le luci di Gianni Staropoli, sia per la recitazione ottimamente concertata, l’impiego studiatissimo dell’intera superficie scenica, il ritmo senza cedimenti dell’azione. Danilo Nigrelli (Germán) e Fabrizio Falco (Claudio) sono straordinariamente bravi. Bravi Pierluigi Corallo (Rafa padre), Mariángeles Torres (Juana), Pia Lanciotti (Ester Artola), Alfonso De Vreese (Rafa).