«Il mio percorso all’OSI è iniziato mentre ero ancora studentessa: all’Università di Zurigo seguivo i corsi di Musicologia e Letteratura Italiana, oltre a continuare a studiare canto; nel frattempo lavoravo. La telefonata del Direttore artistico-amministrativo di quegli anni Denise Fedeli mi giunse inattesa, ma ne fui subito entusiasta. Denise è stata uno dei miei principali maestri: una grande figura professionale che mi ha insegnato moltissimo in tutti questi anni». Da qui – come lei stessa ci racconta – ha preso il via la carriera di Barbara Widmer (nella foto) che ora -insieme a Samuel Flury – il Consiglio di Fondazione (dopo un anno ad interim) ha confermato alla guida dell’OSI. Lei nel ruolo di Direttrice artistica, lui in quello di Direttore amministrativo.
La prima cosa che ha pensato quando le hanno proposto di prendere ad interim l’incarico di Direttrice artistica?
Più che onori e oneri, mi si è subito presentato in maniera potente e determinante il mio legame con questa realtà, che è l’Orchestra ovviamente, ma anche tutto il gruppo di persone che lavora attorno e dietro ad essa. Quindi mi sono detta subito: «In fondo è questo il mio compito» e ho accolto con onore questa sfida. D’altra parte, il ruolo si inseriva con continuità nel percorso che già stavo facendo all’interno dell’OSI, da assistente alla Direzione artistica e Responsabile di produzione, a membro di Direzione: tutti incarichi che mi avevano già permesso di sviluppare progetti miei, mi avevano regalato un certo spazio per pensare, pianificare, attuare una certa programmazione artistica. Devo confessare una cosa: di carattere sono ambiziosa, mi piace progettare in grande, adoro il dialogo e il contatto umano: non avrei mai fatto la musicologa da «topo di biblioteca», sola in mezzo ai manoscritti; sono creativa, mi piace sviluppare le mie idee, coltivarle e realizzarle. Quindi, tornando alla domanda iniziale: ho realizzato che la proposta era un onore, un privilegio e un sogno che si realizzava. Mi sono sentita molto fortunata e non nego di aver anche pensato: quando mi ricapiterà un’occasione simile? Queste domande, che facevo a me stessa, hanno corroborato la mia decisione di accettare l’interim. In seguito, quando si è aperto il concorso, è stato naturale per me candidarmi, e una grande soddisfazione vedere confermato il mio ruolo.
Controindicazioni?
Mi spiace non poter coltivare la mia passione per il canto con la serietà e la continuità che vorrei, ma è una scelta inevitabile, che accetto volentieri.
Che cosa è cambiato diventando Direttrice artistica?
Sicuramente la responsabilità e inevitabilmente anche il rapporto con le persone. Non puoi pensare di appartenere al gruppo allo stesso modo perché adesso, per dovere e mestiere, devo guidare, si instaura una certa dinamica di dialogo in cui non sempre le posizioni e le esigenze sono perfettamente coincidenti. Però, e questo vorrei sottolinearlo, per me i concetti fondamentali restano «collettivo» e «senso di appartenenza». Non sono slogan: li sento innanzitutto su di me, li ho vissuti con orgoglio in tutti questi anni all’OSI e ho cercato di declinarli nei diversi ruoli che ho rivestito all’interno dell’attività dell’Orchestra: a maggior ragione vorrei affermarli ora. E desidero che siano ugualmente vissuti da ogni musicista, per sentirsi parte di un gruppo con un’identità forte e immediatamente riconoscibile, dall’ottima e riconosciuta qualità, facendo sì che questi concetti vengano visti e conosciuti anche da fuori.
Scherzando, si potrebbe dire che il suo è un giudizio di parte…
Però è suffragato dai direttori e dai solisti che vengono al LAC a suonare con noi: la prima volta quasi sempre si stupiscono della qualità dell’OSI, sono meravigliati di non averla ancora conosciuta. Le sale anche all’estero sono sempre piene, le ovazioni alla fine dei concerti non si contano. La prossima stagione ci aspetta una grande tournée davanti alle esigenti platee tedesche: speriamo di stupirle anche in questa occasione!
Veniamo alla nuova stagione: è sembrata molto tradizionale, con grande spazio al repertorio più conosciuto.
Vero, le sinfonie Eroica e Pastorale di Beethoven, Brahms, Mozart; però non mancano chicche, come la Quinta sinfonia di Ralph Vaughan Williams, che reputo bellissima, un capolavoro. Vorrei anche ricordare un titolo come Shéhérazade di Rimskij-Korsakov, che manca nei nostri cartelloni da ben dieci anni. E mi piace sottolineare il ritorno delle violiniste Alexandra Soumm, che tanto ci aveva impressionato suonando il Concerto di Sibelius, e Veronika Eberle.
Tema inevitabile: il pubblico.
Il nostro è molto fidelizzato, e stiamo cercando nuovi momenti e nuovi formati per allargarlo ulteriormente: suonare al Vanilla non è stato un mezzo per dire «siamo stati anche in una discoteca», ma nasce dalla consapevolezza che se la gente non viene in teatro, deve essere l’orchestra, la musica ad andare nei luoghi che la gente frequenta, anche in una discoteca; il successo è andato anche al di là delle aspettative, e allo stesso modo è stata apprezzata l’iniziativa di seguire una prova sul mezzogiorno al LAC e poi ricevere un pranzo take-away da consumare, se lo si voleva, in loco.
Potesse scegliere una sala dove far debuttare l’OSI?
La Carnegie Hall di New York, per la sua storia e per il suo trovarsi in una metropoli fra le più vivaci e ricche di fermenti culturali al mondo.
E un luogo non musicale?
Porterei le nostre Professoresse e i nostri Professori sulle Dolomiti: adoro la montagna, sono sportiva, corro e vado in bicicletta: unire i capolavori della classica e delle montagne – un capolavoro quale le Dolomiti – ci regalerebbe un connubio indimenticabile, come fa da quasi trent’anni Mario Brunello coi Suoni delle Dolomiti.