Dove e quando
Arte e Umanità: Immagine Migrante. Spazio Elle, Locarno. Fino al 15 settembre 2018. Mostra curata da Nadia Bensbih, Riccardo Lisi e Marco Stoffel. La proiezione integrale del video Omega Transit di Hanna Hildebrand è prevista per mercoledì 12 settembre alle 18.30 presso lo Spazio Elle. Orari: da me a do dalle 14.00 alle 19.00. www.parcourshumain.ch

Niels Tofahrn, The Sleep, 2017 (© Muriel Hediger)


Il volto umano dell’arte

Allo Spazio Elle di Locarno una mostra per riflettere sulla condizione di migrante
/ 03.09.2018
di Alessia Brughera

Sono decine di milioni le persone attualmente costrette ad abbandonare il proprio paese d’origine a causa di guerre, persecuzioni e violenze: un individuo sfollato ogni due secondi, riferisce il rapporto annuale pubblicato alla fine del 2017 dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Nasce proprio dalla consapevolezza di questa drammatica emergenza la mostra Arte e Umanità: Immagine Migrante ospitata nelle sale dello Spazio Elle di Locarno, una rassegna organizzata nel contesto del più ampio progetto itinerante svizzero Parcours Humain che, partito nel 2015, dopo aver toccato varie città elvetiche approda adesso nel nostro cantone con l’obiettivo di sensibilizzare la collettività sul fenomeno migratorio.

La proposta espositiva parte dalla convinzione che l’arte sia uno strumento per agire in ambito sociale, un potente mezzo per spingerci a riflettere sulle problematiche più urgenti della comunità contemporanea e soprattutto sui quei valori da cui dovrebbe essere sempre sorretta, a partire dalla dignità umana intesa come diritto inviolabile.

La rassegna raccoglie i lavori di una ventina di artisti ticinesi, svizzeri e internazionali che si sono confrontati con il delicato tema della migrazione attraverso linguaggi differenti, toccando questioni quali la rivendicazione delle minoranze e delle categorie più deboli, la perdita dell’identità, la militanza politica, il superamento dei confini reali e immaginari, i poteri in gioco durante un conflitto, l’impegno e il coinvolgimento del cittadino comune e la convivenza di culture diverse.

Tra coloro che sono stati chiamati a partecipare all’esposizione c’è chi proviene da zone di conflitto e ha vissuto in prima persona l’abbandono forzato della propria terra. Waref Abu Quba, ad esempio, autore dell’evocativo video intitolato In Damascus, è un regista siriano rifugiatosi quattro anni fa in Germania. Marko Miladinovic, performer nel campo delle arti letterarie, a causa della guerra è fuggito con la madre dalla città di Vukovar all’età di due anni: testimonianza di questa tragica esperienza, il suo passaporto viene utilizzato come elemento chiave nell’opera Le nazioni finiscono, realizzata in occasione della mostra locarnese, dove giace sul pavimento sovrastato dalla sagoma rovesciata di un’Europa che ha smarrito il suo senso di coesione.

Molti degli artisti presenti hanno lavorato a stretto contatto con i migranti rendendoli protagonisti delle loro opere. Il video Omega Transit di Hanna Hildebrand, i cui progetti filmici hanno spesso un carattere documentaristico, è stato girato a Chiasso con il coinvolgimento di giovani profughi in qualità di attori, divenendo così un esempio di fertile interazione con le realtà del nostro territorio. Ancora, Nina Haab, fotografa e videoartista nata a Bellinzona, puntando sul valore sociale dell’arte ha incontrato presso l’Association suisse des femmes immigrées di Sion alcune donne militanti scappate dal loro paese natio a causa dei regimi politici coercitivi: il suo lavoro dal titolo Daccapo è una serie di fotografie che narra la loro vita esplorandone memorie e speranze.

E poi c’è anche chi artista non è ma è stato incluso nella rassegna affinché potesse raccontare la sua esperienza diretta accanto alle comunità di migranti. È il caso del collettivo RadioNoBorder, un gruppo di attivisti indipendenti italiani che ha operato nell’area di Idoumeni, sul confine greco-macedone, e che in mostra ha ricostruito la postazione radio del campo da cui vengono trasmesse le registrazioni delle conversazioni avute con i profughi.

Tra i lavori più interessanti dell’esposizione vale la pena di citare quello di Miki Tallone, un’opera intitolata In a Low Voice costituita da duecento lenzuola che l’artista ticinese ha avuto in dono dai discendenti delle famiglie obbligate durante la Seconda guerra mondiale a lasciare Gibilterra per dar modo all’esercito britannico di sfruttarla strategicamente. Cucite insieme dagli stessi parenti degli esiliati, le lenzuola danno vita a un unico lungo telo, come a unire il dolore, il ricordo e l’attesa di questa gente sradicata dalla propria patria attraverso un elemento intimo e semplice che appartiene alla quotidianità dell’uomo.

Un altro lavoro particolarmente significativo è stato concepito da Ute Lennartz-Lembeck, artista tedesca i cui progetti sono vere e proprie azioni sociali all’insegna della condivisione. Per Banner, l’opera del 2015 esposta a Locarno, ha spedito a cento donne provenienti da diversi paesi la richiesta di realizzare una bandiera su cui doveva comparire la loro personale risposta alla domanda «Cosa ti motiva?». Raccolti dall’artista e appesi l’uno accanto all’altro, questi piccoli drappi costituiscono l’incontro delle aspettative di tanti individui, dando una nitida immagine di quella forza che spinge ogni essere umano a credere nel domani.