Il vertiginoso slalom fra cu e qu

La lingua batte/19 - Fa bene ogni tanto concedersi un ripasso veloce di qualche regola ostica della lingua italiana, soprattutto quando le sue eccezioni sono davvero curiose
/ 01.02.2021
di Laila Meroni

Nomen omen: portarsi sulle spalle un destino già segnato per colpa del proprio nome forse funziona anche per un sostantivo. Se c’è una parola in grado di scombussolare noi italofoni come una palla sparata da un cannone è soqquadro. Termine molto scorbutico e capriccioso. Non solo per il significato che si porta addosso e che richiama alla mente il caos, lo scompiglio; non tanto perché privo del dono della versatilità che anima invece i suoi colleghi membri del discorso, fatto che lo isola praticamente nell’unica espressione in uso di «mettere a soqquadro». No, non sono queste peculiarità a farci oggi aggrottare le sopracciglia, bensì proprio il modo in cui si presenta. Diciamocelo: che ci fanno quelle due -q- gemellate?

Qui si apre un interessante capitolo della grammatica, a suo modo spinoso. E sorgono spontanei diversi ulteriori interrogativi: se soqquadro risulta (con il rarissimo biqquadro) l’unica voce dell’italiano con due -q-, che strada ha fatto invece taccuino per vantare il gruppo -ccu-? E ancora, che bisogno c’era di creare la lettera -q- (o meglio, -qu-) se già poteva fare al caso nostro una bella -c- accompagnata da -u-? E soprattutto, chi è stato così creativo da coniare il curioso -cqu-? Sono domande che ci portano indietro di secoli, addirittura di qualche millennio, fino alla genesi della lingua italiana e al suo progenitore, il latino.

Vale la pena dedicarsi a un veloce ripasso grammaticale, che non fa mai male. Come avviene in molti ambiti dell’italiano, anche in questo campo ci sono le regole e ci sono le loro brave eccezioni. A differenza delle altre colleghe di alfabeto (più spavalde ed emancipate), la lettera -q- ha sempre sofferto di solitudine, tanto da aver scelto quale dama di compagnia la -u- (e nessun’altra). La norma dice che -qu- è presente laddove è seguito da vocale, con cui forma una sillaba che non può essere spezzata. Del caso in cui il suono è seguito da una consonante si occupa con zelo la lettera -c- (come in cucinare); tuttavia le eccezioni da mandare a memoria sono immancabili, come scuola e cuore, irregolarità giustificate dalla rispettiva forma antica che non presentava la semiconsonante -u-. La pronuncia dei due gruppi sotto esame (cu e qu) è identica, e l’evoluzione pare essere solo una questione di grafia (chi può dirlo con certezza?).

A un certo punto i nostri antenati hanno sentito il bisogno di raddoppiare il suono e lì è accaduto qualcosa di bizzarro, a ben guardare: nel latino aqua è stata aggiunta la -c-, mentre al latino tacuit è stata attaccata una -q- che ha portato all’odierno tacque. Curioso, vero?

Interessante è pure cercare di capire da dove spuntino le due -c- con la -u- in taccuino: qui la strada a ritroso ci porta al latino medievale tacuinum con radici esotiche nell’arabo taqwim (una sorta di almanacco).

Ora non ci resta che tornare al nostro soqquadro, orgogliosa eccezione alla regola. Massimo Fanfani spiega dall’Accademia della Crusca che «l’insolita grafia […] è nata certamente per analogia» così che i rafforzamenti vengono indicati raddoppiando la consonante: come avviene in soppiatto e in sommossa. Curioso come il caso abbia voluto che questo aggettivo e questo sostantivo evochino un’idea di losco, di poco raccomandabile, proprio come il nostro (furbo quanto misterioso) soqquadro, pronto a seminar zizzania fra le certezze della lingua italiana. Appunto: nomen omen.