Lo scrittore visto da Edwina Costantini

Robert Walser, L'assistente, Adelphi, Milano, 2022


Il testimone senza sostanza

Una nuova edizione adelphiana per L’assistente di Robert Walser
/ 01.08.2022
di Daniele Bernardi

Nonostante Robert Walser (1878-1956) lo descrivesse semplicemente come «un estratto della vita quotidiana svizzera», L’assistente è un romanzo che, fin da subito, presenta qualcosa di ben più profondo di una pacificante cartolina. Pubblicato negli anni Sessanta da Einaudi nella versione di Ervino Pocar e con un saggio di Claudio Magris, grazie all’iniziativa di Adelphi – da tempo impegnata nell’edizione dell’opera del grande scrittore elvetico – il volume torna oggi nelle librerie nella traduzione di Cesare De Marchi.

Al lettore attento l’attacco del libro evocherà immediatamente uno dei capolavori di chi, in vita, fu fra i più grandi estimatori di Walser: parliamo naturalmente di Kafka e, in particolare, de Il castello che, come è risaputo, fu direttamente ispirato dallo Jakob von Gunten (altra celebre opera walseriana) e il cui inizio sembra ricalcare perfettamente proprio le prime pagine de L’assistente.

Come K. infatti Joseph Marti, protagonista della vicenda, giunge alle porte di un grande edificio per il suo nuovo impiego che lo vedrà avventurarsi in un labirinto solo apparentemente meno ossessionante di uno kafkiano. Qui capeggia l’ingegnere Tobler, bislacco inventore le cui manie di grandezza sono destinate all’inevitabile scacco nel contatto col mondo. Una volta assunto come segretario – ma senza stipendio, poiché le condizioni economiche del cosiddetto «ufficio tecnico» versano in una situazione disastrosa – Marti diviene il testimone o, meglio ancora, colui che assiste al naufragio di quella piccola, inquietante isola che è casa Tobler.

E se c’è una curiosa caratteristica che trova risonanza col nostro presente pandemico è proprio quella che qui vede la fusione fra luogo di lavoro – e quindi, conseguentemente, dinamiche di potere, alienazione, catena di montaggio o, come avrebbe detto Ezra Pound, «usura» – e abitazione: la vita della famiglia è pervasa dalla folle attività di Tobler, che insedia il suo quartier generale negli spazi domestici e i cui obiettivi sono di imporre sul mercato le proprie bizzarre invenzioni.

E come si muove Joseph Marti in questo universo? Qual è il suo ruolo? Quale buco va a riempire nella cornice che contiene il ritratto di una famiglia stramba quanto sfuggente? Ebbene, Marti pare comportarsi come una sostanza amorfa, capace di aderire ai contorni senza far pesare le propria presenza. Egli è come «una giacca provvisoria» o uno di quegli strofinacci eternamente in circolo negli interni: la vita (lavorativa e non) lo sballotta di qua e di là mentre, quasi attraverso una danza o il divagare di una passeggiata (tema emblema dell’autore), il suo sguardo trasognato si posa sulle cose interrogandole e cercandone subito il «rovescio», come farebbe un bambino di pochi anni.

«Il mondo è meraviglioso (…), basta darsi la pena di percorrerlo a piedi», scrive puerilmente Walser in questo suo libro dove, come altri scrittori otto-novecenteschi di eguale importanza, opera «la fondamentale rivoluzione della letteratura moderna, ossia la disarticolazione della totalità» (Claudio Magris) e la creazione di uno di quei tipici, nuovi protagonisti dell’immaginario che sono stati (e sono) i Bartleby, gli Josef K., etc. Marti appartiene infatti a questa categoria di personaggi: col suo incedere divagante e senza sostanza, egli annuncia una radicale crisi dell’individuo, un punto di rottura che apre prospettive nuove, poco rassicuranti (in questo senso bisognerebbe davvero chiedersi cosa intendesse Walser per «compendio di vita svizzera») e delle quali ancora occorre tenere conto quando si mettono gli occhi sul mondo per cercare di coglierne qualcosa.

Con questa nuova edizione – quindicesimo titolo walseriano in catalogo – oggi Adelphi si conferma quindi essere il principale punto di riferimento per il lettore italofono che volesse conoscere un autore fra i più decisivi della letteratura novecentesca, e L’assistente non è che una fra le tante prove dei vertici dell’arte di Walser.