Bibliografia
Mark Twain, La terribile lingua tedesca, Macerata, Quodlibet, 2021


Il terribile tedesco

Una serie di testi attorno alla lingua tedesca prodotti da Mark Twain alla fine dell’Ottocento in una nuova edizione curata da Dino Baldi
/ 20.09.2021
di Stefano Vassere

«La lingua tedesca è formata da una dozzina di frammenti di parole gettati a caso dentro un cilindro ottagonale. Lo capovolgi, e vengono fuori queste frattaglie di Ver, Be, Ge, Er, lein, schen, gung, heits, keits e un migliaio di altri prefissi, affissi e suffissi lampeggianti e fiammeggianti. Li vedrai una sola volta, poi li perderai di vista per sempre».

Il rapporto di Mark Twain con il tedesco e con le lingue in generale è noto e la narrazione a proposito di questa frequentazione è giustamente quasi del tutto occupata da innumerevoli citazioni sparse qua e là nell’Internet tratte da un testo del 1880, The Awful German Language, appendice a un resoconto di un viaggio che lo scrittore fece in quegli anni in Germania, in Svizzera, in Francia e in Italia. Ora, di La terribile lingua tedesca e di cinque altri testi dedicati al tedesco rende finalmente giustizia editoriale una raccolta «definitiva» curata da Dino Baldi, a inaugurare una elegante nuova collana dell’editore Quodlibet di Macerata.

In effetti Twain fu sempre molto incuriosito da fatti linguistici e stese contributi su italiano, portoghese e francese, oltre che sul nostro tedesco, «un congegno perfetto e perfettamente insensato inventato da un pazzo con il mal di denti». Ma anche il codice di un popolo sinceramente amato; codice certo complicato da imparare ma praticato da una realtà sociale che l’autore amò e frequentò per lunghi periodi. «Gott sei Dir gnädig, O meine Wonne» fu l’iscrizione che egli incise sulla lapide tombale della moglie Olivia, «Che Dio abbia misericordia di te, tesoro mio».

Sono, questo testo e i suoi compagni della raccolta, di grande spasso; un gruppo di modalità diverse di tornare sul tema (la cui origine è tracciata con perizia dal curatore in capo a ogni brano e con note a piè di pagina): un saggio narrativo; un’opera teatrale dove i personaggi parlano con le frasi fatte imparate sulle grammatiche; un racconto dove una coppia di anziani cerca di far fronte ai danni di un forte temporale, ai tuoni e ai fulmini, sulla base di un manuale in tedesco; due discorsi in sede pubblica tenuti in un tedesco fintamente approssimativo e interferito dall’inglese; una nota sulla parola tedesca più lunga.

Nella numerosa serie, Twain dichiara in tutto sette ossessioni principali, che compongono una rassegna sistematica nel cuore del volume: il caso dativo, «una stravaganza ornamentale»; il verbo alla fine delle frasi; l’inadeguatezza del lessico delle imprecazioni, in tedesco troppo molli; l’organizzazione dei generi («In Germania una ragazza non ha sesso, mentre una rapa ce l’ha»); le interminabili parole composte; ipertrofici depositi di verbi in fondo alla frase del tipo haben sind gewesen gehabt geworden sein; parentesi e sottoparentesi, con «la colossale parentesi reale che racchiude tutte le altre parentesi». Sette criticità supreme e una soluzione: tenere solo due parole, Zug e Schlag con i loro derivati, e rimuovere tutto il resto del vocabolario.

Questo libro colpisce per un paio di evidenze. Dapprima, per l’attualità della reazione generata nel lettore, di quei tempi e di oggi: la testualità di Mark Twain è efficacissima a distanza di più di un secolo e fa tantissimo divertire. Poi, per il pensiero che va subito alla modernità del dibattito sulle lingue migliori e su quelle peggiori. Del tema si occupa, ancora, la linguistica più à la page e non da ultimo La razza e la lingua, il bel libro di Andrea Moro di un paio di anni fa che dimostra che, in sé, una lingua non è né migliore né meglio attrezzata di altre in nessun ambito e che forse la sola tradizione linguistica fa qualche differenza.

«Mi ricordo che una volta tradussi una frase in questo modo: “La tigre infuriata spezzò la catena e divorò la misera abetaia” (Tannenwald). Non mi convinceva molto, finché non appurai che Tannenwald era, in questo caso, il nome di un uomo».