Ogni anno, a dispetto degli accadimenti del nostro tempo, al Teatro Dimitri di Verscio, solitamente in questo periodo, si assiste al debutto di una nuova edizione del «Variété»: una tradizione che si perpetua e che in qualche modo lascia rivivere il marchio di famiglia. Quest’anno lo spettacolo, che rimarrà in scena nel Parco del Clown di Verscio praticamente per tutto il mese di agosto, è stato allestito con la regia di Masha Dimitri e vede in scena otto giovani allievi dell’Accademia che stanno per affrontare il terzo e ultimo anno di formazione. Il titolo scelto è «Il tempo di vivere», un inconscio memento mori che attraverso il teatro si trasforma in un auspicio per cui l’arte diventa un inno alla vita.
È uno spettacolo che ricalca i presupposti elementari dello stare in scena attraverso abilità acrobatiche, jonglage canti e danze attorno al tema della vita, del tempo, della memoria, delle scoperte, dell’amicizia e dell’amore. È un insieme di spunti e pretesti narrativi che, come spesso accade, hanno però ancora bisogno di misurarsi con le leggi della scena, perfezionando dinamiche ancora sospese, raffinando le sorprese senza abbandonare l’effetto della performance individuale e collettiva verso un drammaturgia più solida, dove emerge l’affiatamento di un gruppo che si sta confrontando con ciò che può considerarsi a tutti gli effetti un «rito di passaggio». Un’esperienza ben rappresentata nel titolo stesso dello spettacolo e che sembra voler alludere all’atmosfera che sta avvolgendo quella straordinaria realtà delle Terre di Pedemonte e che ci spinge a una breve considerazione.
A quattro anni dalla scomparsa del popolare clown Dimitri e a un paio di mesi da quello dell’amata moglie Gunda, le sorti del Teatro da loro fondato nel 1971, dopo essere passate per diverse mani, sono ora affidate a quelle del figlio David, celebre One-Man Circus che dovrebbe gestirlo fra una tournée e l’altra accanto alla direzione artistica del festival austriaco di Salzburg: un vero funambolo che sta facendo di tutto per difendere la memoria e il prestigio di quel teatro chiamato a fare i conti con una realtà giunta alle soglie di un importante cambiamento: l’Accademia.
Nata come scuola dalla costola del teatro nel 1975, da tempo è cresciuta notevolmente diventando Accademia, inserita a pieno titolo fra le Scuole Universitarie Superiori svizzere. Dotata di programmi articolati per l’ottenimento di Diplomi di Bachelor e Master in Teatro Fisico, ha ormai conquistato i requisiti necessari per proseguire nella sua strada di formazione teatrale. Un percorso costato impegno e sacrifici a tutti, insegnanti e ricercatori: una squadra che per soddisfare le richieste di decine di studenti provenienti da tutto il mondo, deve offrire prestazioni di livello poste costantemente sotto la lente delle istituzioni ma che non può più misurarsi con la sede originale divenuta insufficiente.
Come è noto, la scelta è caduta sulla ex-Caserma di Losone, un edificio decisamente più spazioso e idoneo per l’Accademia che vi inizierà a essere completamente operativa nel 2021, dando ulteriore lustro al progetto didattico originale nato nel 1975 quasi in sordina e di cui andar fieri. Ma evidentemente è un successo che deve ancora fare i conti con la percezione di chi considera quel cambio di sede come una sorta di amputazione dal tessuto territoriale, un sentimento di rinuncia che rischia di creare solo incomprensioni mentre invece occorrerebbe un’intelligente e creativa rimessa in discussione dei rapporti fra Teatro e Accademia, che possono solo tradursi in collaborazione per generare una realtà ancora più forte.
Nel frattempo il cartellone teatrale deve poter continuare senza soccombere alla paura del nuovo guardando al futuro con ottimismo e, soprattutto, con idee originali e complementari. Il problema si farà più concreto in autunno, quando quel glorioso piccolo tempio dello spettacolo vedrà diminuire la presenza dei fedeli confederati e dovrà ricominciare a programmare nuove avventure teatrali alla conquista del pubblico. E il confronto aiuta…